martedì 26 giugno 2012

Fabriclive 63: Digital soundboy soundsystem

Ovvero, dell'importanza dei cambi di passo.

Non ho mai negato di non essere esattamente un fan di quello che una volta, nella sua forma più pura e originaria, si chiamava dubstep e che ora ha una definizione di genere così lasca che c'è chi lo chiama "bass music": la realtà dei fatti, però, è che questa forma pura e originaria ormai non esiste più ma, come tutte le tendenze importanti, ha lasciato strascichi anche negli altri generi.

Se è vero che graziaddìo ormai più nessuno fa quelle cose orripilanti con un colpo di cassa ogni quarto d'ora e il feeling piovoso da fintointellettuale (à la "Midnight request line", per intenderci), è anche vero che gente che arriva dai background più disparati ha fatto sua, in modi diversi, la lezione di Benga, Skream, Burial e compagnia cantante, iniziando ad esplorare metriche diverse dal solito "four to the floor" e a mischiare più metriche e sottogeneri all'interno dello stesso set, portando una ventata di varietà assolutamente gradita e beneaccetta.

Va da sè che tra tutti quelli che hanno abbracciato quest'idea di suonare assieme cose a velocità e spezzatura completamente diverse, coloro a cui riesce meglio siano quelli da sempre abituati ai metri irregolari, quelli quindi che arrivano dalla d'n'b, genere che risentiva di un po' di stagnanza e che ora invece sta tornando in auge prepotentissimamente proprio grazie a questa ventata di metriche diverse.

Non è un caso, quindi, che le cose più interessanti del panorama di quella che ora si chiama "bass music" e che è un genere quanto mai lasco e ampio arrivino da gente cresciuta a pane e amen break, tipo i tre figuri che si nascondono dietro il nome della loro etichetta, la Digital soundboy per l'appunto, e che rispondono ai nomi di Shy FX, Breakage e B. Traits: il loro Fabriclive, infatti, è un tripudio di miscuglioni in cui compaiono, con una coerenza impeccabile, "Body language" dei Mandy coi Booka Shade, delle missilate su 50 Weapons (che qui sembra quasi un'etichetta seria anzichè il prodotto di quei macellai dei Modeselektor), Dizzee Rascal e delle cose reggaeggianti, e la cosa più incredibile è che il tutto è non solo molto valido ma anche molto meglio della somma delle parti.



All'interno della tracklist, infatti, c'è più di un disco obiettivamente e incontrovertibilmente brutto, ma che contestualizzato nel flusso molto ben studiato dai tre acquista magicamente un senso o al massimo, quando proprio un senso non ce l'ha, comunque dura poco, visto il turbinio frenetico con cui si cambia disco-passo-atmosfera-mood nei settanta minuti abbondanti di mixato.

Di certo alcune frenate o accelerate molto brusche sono messe lì solo per farti fare "oooooh" alla prima volta che le senti e poi esaurito l'effetto sorpresa perdono un po' di mordente, ma è vero anche che alcuni altri accostamenti escono alla lunga, dopo qualche ascolto, rendendo il mixcd davvero godurioso nonostante un paio di momenti di flessione, in particolare con una sequenza devastante, poco dopo metà - provare per credere.

Morale, acquisto consigliatissimo, sia per quelli che credono che il dubstep sia solo Skrillex, sia per quelli che (come me fino a poco tempo fa) credono non esistano punti di contatto tra la cassa in quattro e la d'n'b, che saranno invece lieti di scoprire che in mezzo esiste un intero continuum.

venerdì 22 giugno 2012

Eventi rari ed imperdibili


Sabato sera metto dei dischi in un posto, con (si spera) delle persone vere, nella ridente cittadina labirinto di Genova.

Ovviamente tutto il vasto pubblico di questo blò è caldamente invitato a partecipare numeroso e caldo, chè come potete immaginare ci sarà della musica di assoluta goduria.

mercoledì 20 giugno 2012

Sonar 2012, parte III: conclusione

Terzo ed ultimo giorno in terra catalana: il tema portante dell'intero festival ormai inizia a delinearsi, e oggi verrà solo ribadito.

Anche oggi la giornata parte molto lentamente, con un po' di cazzeggio e di passeggiamento in giro per Barcelona, chè anche se ormai siamo al quarto viaggio nella città blaugrana e tutte le cose dei turisti le abbiamo già fatte comunque c'è sempre qualcosa di interessante da scoprire e un girettino di shopping da vero metrosexual ci sta tutto per evitare di fare quelli che arrivano, vedono solo il posto del festival e se ne vanno.

Morale, arriviamo al MACBA verso le 17 e qualcosa; ci sarebbe il live di Nicolas Jaar col ghitarrista, ma un po' perchè lui non mi fa impazzire e un po' perchè i miei amici vogliono a tutti i costi sentire un a me sconosciuto Jesse Boykins III ci dirigiamo verso il tendone del SonarDome, e devo dire che fidarsi degli amici è stata un'ottima idea: Jesse è praticamente una sorta di Marvin Gaye in salsa Rush Hour, e il suo live, purtroppo molto corto, trasuda una quantità di amore e di sudore sconfinata.


Quarantacinque minuti scarsi di soul e rnb cantati su basi a cavallo tra la house oldschool alla Theo Parrish e il post-dubstep più deeposo, quarantacinque minuti in cui limonare durissimo e amarsi come se non ci fosse un domani: promosso a pieni voti.

Dopo di lui, è la volta di XXXY, che mi sono perso alla chiusura del Tunnel e a cui decido di dare una chance, anche perchè in quel preciso momento non ci sono moltissime alternative, ma tempo due-tre dischi e mi ha già rapito: altri lo hanno definito paraculo, e in effetti forse un po' lo è, a suonare "Arp3" di Floating points e soprattutto "Promised land" di Joe Smooth, ma secondo me la verità è che è un gran trascinatore e ha perfettamente chiaro che per fomentare un dancefloor basta tutto sommato poco.


E' vero, siamo a un festival di musica avançada in cui suonano anche personaggi di grosso spessore intellettuale come Amon Tobin o Alva Noto, ma riuscire a tenere perfettamente in mano la pista per un'ora e mezza come ha fatto lui, e come credo avrebbe fatto anche senza quel paio di dischi un po' nazionalpopolari, è tutt'altro che semplice: il buon inglesotto ha dimostrato di essere un dj coi controcazzi, spaziando adeguatamente tra la house un po' più movimentata e techneggiante e la parte più dancefloor-oriented della bass music, dimostrando, se ce ne fosse del bisogno, che anche avere la sensibilità necessaria a fare un set così danzabile è segno di musica avanzata.

Finito XXXY in teoria dovremmo iniziare a raccattare armi e bagagli e trasferirci alla fiera in tempo per i 2 bears alle 22, ma un po' la pigrizia un po' gli LA vampires ci fanno desistere e rallentare pesantemente il ritmo: il live degli americani è infatti moooolto lento, ma di quel lento piacevole e sexy, che sentito seduti sulla moquette mangiando un bocadillo di plastica e sorseggiando una cerveza mentre il tramonto si appropinqua diventa un'esperienza di rara goduria.


Assolutamente da risentire e da approfondire, tanto ormai la quantità di gente che devo approfondire dopo questo Sonar è tale che finirò tipo nel 2080.

Dopo di loro il loro socio di etichetta Ital, che si presenta cantando a cappella la prima strofa di "The rhythm of the night" di Corona guadagnandosi così il titolo di momento più WTF dell'intero weekend e che prosegue accumulando samples su samples ed effetti su effetti senza troppa logica: probabilmente su disco è molto piacevole, visto che i suoni tutto sommato mi parevano esserci, ma live è abbastanza deludente, per cui casa, doccia e ormai, visto che tanto per vedere i New Order alle 23 dovremmo fare delle corse esagerate, cena tranquilla, in modo da arrivare alla fiera per l'una e mezza.

All'unemmezza, infatti, c'è il live degli Azari & III, uno dei miei personali most wanted del weekend: purtroppo l'affollamento non ci ha consentito di vederlo da abbastanza vicino, per cui più che altro l'abbiamo sentito, ma chi l'ha visto lo descrive come una delle cose più gay degli ultimi 150 anni, e non stento a crederci.

I quattro canadesi, infatti, sanno di strusciamenti tra barbe sudate già su disco, e live trasportano pari pari quello che fanno su plastica nera (o su mp3, ormai, digiamogelo): chord di fronte ai quali è impossibile restare fermi e vocal che ti entrano immediatamente in testa, di quelli che al secondo ritornello sei già in grado di cantare pure tu a squarciagola, anche se ovviamente il pubblico knowledgeable del Sonar conosceva già tutte le canzoni a memoria, e in sostanza un tiro pop davvero allucinante, tipo che se ci fosse ancora il Festivalbar questi si mangerebbero chiunque altro in un solo boccone, e lo dico come cosa estremamente positiva.


Finiti i quattro Azari è la volta di Cooly G, su cui ho delle buone aspettative dopo aver visto un suo splendido set alla Boiler room, ma che purtroppo è una delle più grosse delusioni del weekend, col suo fiacchissimo karaoke senza un colpo di cassa e senza alcun mordente a cui assistiamo sì e no in tre: faticosamente resisto per tutti i quaranta minuti di live sperando che succeda qualcosa che invece non succede, e vado a riposare per un po' le mie stanche membra all'autoscontro, autentico tripudio della parte di pubblico più squagliata e cazzeggiona che rischia la vita ogni cinque minuti rotolandosi per terra in mezzo alla pista con le macchinine che gli sfrecciano attorno - è sempre divertente da vedere.

Tra una cosa e l'altra si sono fatte le quattro e un quarto, e tra un quarto d'ora dovrebbe iniziare la chiusura ad opera del miglior dj del mondo, per cui ci dirigiamo nello spazione aperto del SonarPub per tempo in modo da guadagnare dei posti decenti sugli spalti, non sapendo il dramma che ci aspetta.

Idealmente e da lineup, infatti, dovremmo sorbirci solo un quarto d'ora dell'orripilante live dei Modeselektor, invece i due tamarri decidono di andare lunghi e finire alle cinque: i tre quarti d'ora peggiori del weekend, se non dell'intero duemiladodici o forse addirittura della mia esperienza di clubbing.


Il live dei Modeselektor è fondamentalmente il fratello più tamarro e più incazzato di un live di Vitalic di dieci anni fa, tra segherie, sirene, cori da stadio e bottiglie di champagne spruzzate sulle prime file in nome dell'ignoranza più becera, roba che di colpo tutti quelli che mi erano sembrati un po' più scontati nei giorni passati, tipo Nightwave o a tratti XXXY, diventano intellettuali iscritti al MENSA.


Non credo davvero che esistano parole per definire la bruttezza di un live che viene osannato come innovativo perchè ha un colpo di cassa spostato ogni tanto ma che in realtà è tipo un melange di tutto quanto è stato fatto di ignorante e greve negli ultimi vent'anni di musica elettronica, con in più nemmeno l'attitudine cazzona che hanno altri tamarri tipo Steve Aoki o lo stesso Skrillex: questi ci credono davvero, pensano di essere gran musicisti e gran intellettuali con le sirene da stadio.


Orèndi.


D'altronde, è vero anche che per arrivare al paradiso bisogna soffrire, e il patimento estremo sofferto nei tre quarti d'ora precedenti il set di Garnier credo valga come martirio, visto che poi Lorenzo ci porta direttamente nell'alto dei cieli.


Non credo ci sia bisogno di raccontare in dettaglio come funzioni il suo nuovo progetto LBS, anche perchè ne ho già scritto varie volte, vi racconto solo che stavolta, anche senza Benjamin Rippert, vedere Lorenzo fare il suo "solito" (si fa per dire) show su un palco gigantesco, con le prime luci dell'alba, in mezzo alle migliaia di persone del pubblico del Sonar equamente divise tra squagliati, personaggi da circo e nerd musicali è un'esperienza che ha del mistico e dell'ultraterreno.




Purtroppo non riusciamo a fare chiusura fino in fondo perchè abbiamo l'aereo troppo presto, ma restiamo lo stesso fino alle sei e qualcosa, ammaliati dalla meraviglia che Lorenzo è in grado di mettere in piedi anche senza un terzo della formazione (Benjamin Rippert, assente ingiustificato) e con la stanchezza di tre giorni faticosi spazzata via istantaneamente, dopodichè a malincuore lasciamo la fiera e, poco dopo, la Catalogna per tornare in patria con un sacco di musica nuova da ascoltare e con l'idea che ormai, a conti fatti, l'idea di "musica elettronica" sia morta.


Pensare all'elettronica come un genere di nicchia separato dagli altri, infatti, ormai non ha più senso: la linea di confine tra l'elettronica underground e il pop mainstream da classifica oggi è sottile come forse mai era successo, e molti artisti sono in grado di scavalcarla in entrambe le direzioni a proprio piacimento, rendendo di fatto la musica elettronica LA Musica dei nostri giorni, anzichè solo una delle tante musiche possibili.


Sarà per via della crisi che costringe gli artisti di nicchia a rivolgersi a un pubblico più ampio, o per via del fatto che molti di loro ormai hanno alle spalle carriere più che decennali e quindi ormai sono artisticamente maturi, fatto sta che in molti di quelli sentiti durante questi tre giorni mi sono sembrati ormai pronti a dominare il mercato mainstream (che poi, esiste ancora il mercato mainstream nell'epoca della coda lunga? Non saprei, ma questa è un'altra storia), e lo spazio per le intellettualate con false pretese da innovatori e poco contenuto sembra essere sempre più ridotto, per la gioia del sottoscritto.


All'anno prossimo, quindi, per il ventennale del mio festival preferito :)

lunedì 18 giugno 2012

Sonar 2012, parte II: pop e canzoni

Venerdì, primo giorno con anche il Sonar de noche e, soprattutto, giorno dell'attesissimo live di John Talabot; il primo giorno è stato così ricco di piacevoli sorprese che sarà difficile ripeterlo, ma siamo al Sonar, mica alla sagra del bue muschiato di Pizzighettone, per cui tutto è possibile.

Il live degli Esperanza alle 13.30 è un delitto gravissimo, visto che avendolo già sentito so quanto vale e metterlo ad un orario del genere significa che in molti, me compreso, se lo perderanno: ad ogni modo, Damir ci è stato e pare che abbiano riscosso un ottimo successo, cosa che non può che farmi piacere perchè i ragazzi lo meritano eccome.


Il primo artista interessante che voglio vedere è Trevor Jackson, anche perchè proprio a pranzo ho letto un'intervista in cui se la sboroneggia di gran carriera dicendo "i dischi che mi sono portato per il Sonar non ce li ha nessun altro" e devo dire che, dopo una decina di minuti di Psilosamples che gli valgono un'intenzione di ascolto più approfondito, il signor Playgroup ha sboroneggiato a buon diritto.

Set della madonna il suo, che centra con la precisione di un cecchino il mood da quattro di pomeriggio di venerdì, con la cassa lentona e i pad lunghissimi, da "beviamoci una due tre quattro cinque sei birrette sul prato sintetico e cazzeggiamo amabilmente", come solo i dj di grandissima esperienza sanno fare.

Completamente opposto, invece, è il set di Nightwave nel tendone del SonarDome: la ragazza è giovane ed evidentemente non ha il carico enorme di autorevolezza del suo collega, ma si difende piuttosto bene lo stesso, cambiando all'incirca un disco al minuto e spostandosi molto agevolmente dalla house alla techno alla bass music, tra dischi stranoti e meno noti, tirando in mezzo a dovere tutti gli astanti noi compresi, che eravamo partiti con la classica idea di svaccamento sulla moquette e tempo neanche 10 minuti stiamo ballicchiando di gusto.


Finita la signorina, tocca di nuovo a Flying Lotus: in un mondo normale mi allontanerei più possibile vista anche la noia del set di ieri, ma mi lascio convincere che oggi farà un set completamente diverso e rifaccio l'errore di dargli una chance: nemmeno oggi resisto più di dieci minuti, anche perchè la musica è esattamente la stessa, orribile, di ieri.

Da qui alle 20 non c'è nulla di rilevante (ci sarebbe Daniel Miller, il signor Mute records, alle 18, ma l'ho già sentito all'Amsterdam dance event e so che suona dell'orrida technaccia senz'anima, per cui posso farne a meno), quindi pausa-tapa e ritorno al MACBA appena in tempo per riuscire ad entrare al SonarHall, la cui capacità limitata si esaurisce subito dopo il nostro ingresso, tant'è che alcuni miei amici rimangono fuori e si perdono un live strepitoso, degno di un album che se non ci fosse stato TEED sarebbe l'album dell'anno.

Paddoni goduriosissimi, cassa lenta e spezzettata, atmosfere baleariche e il cantato di Pional che affianca il buon Oriol sono le componenti di un live assolutamente all'altezza delle aspettative e dell'hype, e infatti la platea risponde con molta soddisfazione, rapita dal mood estivo e sognante di ƒin che forse avrebbe reso al meglio all'aperto nel pratone gigante anzichè nella sala sotterranea troppo piccola per contenere tutti quelli che volevano assistere: molti sono rimasti fuori, quelli dentro erano schiacciatissimi ma ce lo siamo veramente gustato, è una delle meglio cose del weekend e dell'anno.


La vera beffa dei miei amici che non sono riuscti a vedere il live di John Talabot, però, è che sono stati costretti a subire l'atroce tortura di quello di Nina Kravitz: io non l'ho visto, ma da come me l'hanno raccontato dev'esser stato roba che te ne vai dicendo "beh, almeno è figa", ed è l'unico valore contenuto in un'ora di live che non passa mai.

Quando a un festival c'è così tanta roba e in posti diversi, è inevitabile perdersi qualcosa, per cui la fine del live di Oriol alle 21 e qualcosa e l'inizio di quello di Amon Tobin alle 23 in un posto a mezz'ora di taxi mal si conciliano, ma soffro poco visto che tanto quest'ultimo non è proprio il mio genere, per cui faccio a tempo a fare una doccia, mangiare qualcosa e arrivare alla fiera in tempo per sentire la fine del set di James Blake, molto bello ma davvero troppo vuoto e rarefatto per un pubblico da festival (avesse fatto lo stesso set un artista con metà dell'hype, avrebbe preso i pomodori, e ne ho avuto una mezza testimonianza il giorno dopo, ma questa è un'altra storia) e per vedere tutto il live di un gruppo da cui mi aspettavo grandi cose, i Friendly fires.

L'album mi è piaciuto un sacco, ed ero molto ansioso di vederli dal vivo per capire se davvero questa via poppeggiante fatta di ghitarra-basso-batteria-cantante oltre ai synth sia una strada percorribile per il futuro dell'elettronica, e la risposta è un convintissimo "sì": alla fine del concerto ero quasi completamente senza voce dopo aver cantato "Hurting", "Blue cassette", "Hawaiian air" e "Live those days tonight", e i ragazzi erano pezzati come se avessero corso due o tre maratone.


Sudore, ghitarre, synthoni e un sacco di cantato: non è solo il solito festival elettronico con i dj del momento che suonano le hit dell'anno, il Sonar è il festival del pop di dopodomani e dopodomani i Friendly fires potrebbero dire la loro, con la loro abilità di essere contemporaneamente catchy e interessanti, retromaniaci e pieni di riferimenti orientati a un pubblico più maturo e attento (vedi il video qui sopra) ma contemporaneamente orecchiabili per gli ascoltatori "casuali".

Finito il loro live, c'è un breve momento di stanca: il ciccione della DFA non mi entusiasma, la fine del set di Annie Mac e l'inizio di quello dei Simian Mobile Disco interessanti ma nulla di esagerato (soprattutto i secondi, comunque, pensavo molto peggio), Richie Hawtin sentito cinque minuti pare fare esattamente lo stesso set del 2006, con uno spettro sonoro che varia dai due suoni ai tre nei momenti di massima intensità, per cui visto che le priorità sono il giorno successivo decidiamo di perderci cose interessanti come Fatboy slim, di cui ero molto curioso, Brodinski & Gesaffelstein e la chiusura di Jacques Lu Cont: non si può fisicamente sentire tutto, bisogna sempre fare delle rinunce dolorose, e domani ci aspetta una giornata molto intensa, per cui nanna, anche se molto molto molto soddisfatti.

domenica 17 giugno 2012

Sonar 2012, parte I: un tranquillo giovedì di scoperte

Poteva mancare il post lunghissimo in cui vi racconto tutte le cose nuove e meno nuove che ho visto negli ultimi tre giorni al festival di musica avanzata di Barcellona?

Ma non se ne parla nemmeno, per cui senza ulteriori indugi comincio a snocciolarvi, in rigoroso ordine cronologico, i personaggi che hanno popolato il mio lungo weekend di esplorazioni musicali, partendo ovviamente dal giovedì, giorno che solitamente è un po' più loffo e fatto di svaccamenti sul prato sintetico al fine di conservare le energie che verranno ampiamente esaurite nei giorni successivi, ai quali verranno dedicati altri post successivamente in modo da non rendere questo più lungo della Treccani.

Nella lineup del giovedì, oltretutto, non c'è nessuno che mi interessi davvero prima delle 20, per cui ho ampiamente modo di recuperare lo sbattimento del viaggio con una pennichellina e dirigermi con calma al MACBA insieme ai miei amici e coinquilini, la spina dorsale di Exprezoo records, verso metà pomeriggio, quando nel tendone del SonarDome sponsorizzato RedBull (nota di folklore: la RedBull oltre a sponsorizzare un sacco di eventi fighi ha sempre delle idee di marketing geniali, adesso a tutti i festival che sponsorizzano se compri una delle loro bevande da acidità di stomaco ti regalano 100 minuti di wi-fi gratis, manna dal cielo per noi turisti stranieri senza traffico dati) stanno suonando degli sconosciuti Sizarr, che sono proprio quello che ci vuole per iniziare a dovere i tre giorni e che anticiperanno, un po', il tema portante dell'intero weekend, col loro poppettino tranquillo basso-ghitarra-batteria-synthini da "un po' me la ballicchio un po' me la canticchio un po' mi svacco sulla moquette bevendo una birrettina".

Morale, neanche mezz'ora che sono dentro al Sonar, giusto il tempo di comprare del merchandise (la borsa di quest'anno è finalmente figa, a differenza di quelle degli ultimi due o tre) e ho già scoperto dei tizi nuovi che voglio approfondire: il paradiso dei nerd musicali assetati di nuove scoperte non si smentisce mai.


Andare in un posto così assieme a degli altri nerd musicali, poi, è il meglio che possa capitare: fossi stato da solo, mi sarei perso il live di Yosi Horikawa che mi ha consigliato l'ottimo Alexei e che è stato una delle cose migliori del Sonar: il piccolo giapponesino (che tra l'altro ha passato tutto il venerdì e il sabato in primissima fila al SonarDome a godersi gli altri artisti) fa delle cose che a sentirle raccontare sembrano una palla alluscinante e la sagra dell'intellettualismo inutile, visto che fa musica basata quasi esclusivamente su field recordings e campionamenti ambientali, ma sentito live è godibile un bel po'.


I field recordings ci sono, ci sono gli scrosci d'acqua e i rumori di fondo della città, ma c'è anche una bella cassa a volte dritta e a volte spezzata a rendere il tutto contemporaneamente molto danzabile e molto orecchiabile, per via della cura giapponese con cui i field recordings sono curati e trattati al fine di costruire un'atmosfera eterea; immaginate un Kaito un po' meno zuccheroso e danzabile, per capirci, e vi fate un'idea di che piacevole sorpresa sia stato.

Nel frattempo, sul palcone del SonarVillage si sta esibendo Flying Lotus col suo ingombrante carico di hype e io, pur non apprezzandolo, decido di dargli una possibilità: resisto solo dieci minuti scarsi al suo tuuun, ci-tun cii tuuun per fintointellettuali e poi decido di tornare sotto il tendone dove ci sono artisti che non hanno bisogno di uno zio famoso per vendere dischi, nella fattispecie un altro sconosciuto per me, un tal Doc Daneeka che sta facendo un set piuttosto godurioso nella sua semplicità, infilando Chez Damier, Todd Terry e i MAW a orario aperitivo per una roba che è, sostanzialmente, "ti piace vincere facile".

Intendiamoci, io li sento sempre volentierissimo, ovvio, ma sei al Sonar, non sei alla sagra della salamella, dovresti fare di più: da rivedere, perchè comunque non è che mi sia sembrato scarso, anzi.

Mi è sembrato così scarso che mi sono menato via e mi sono perso l'inizio dei Mostly Robot, l'interessantissimo progetto a base di improvvisazioni di Jamie Lidell, Tim Exile e un paio di loro amici dello stesso livello, di cui ho sentito dire meraviglie da più parti: arrivo nella sala sotterranea del SonarHall quando ormai è troppo tardi e hanno praticamente finito, e mi rimarrà il rimorso.

Mini pausa-tapa, e poi alle 20 è l'ora di uno degli artisti per cui ho più aspettative, Totally enormous extinct dinosaurs: il suo album, l'ho scritto di recente, è il mio album del 2012 e del suo live ho letto in giro grandi cose, per cui dire che sono venuto a Barcellona solo per lui è un'esagerazione, ma nemmeno troppo grossa.

L'acustica del SonarVillage, non impeccabile in più di un'occasione giovedì, non gli rende giustizia, ma ciononostante il suo live è qualcosa di esagerato, a base di piume di pavone, di ballerine à-la Mauro Repetto vestite da ninja con la coda metallizzata e, ovviamente, delle splendide canzoni di "Trouble" che compaiono quasi tutte nell'oretta di show, dalla title track a "Panpipes", da "Your love" a "Tapes & money", da "American daydream part II" e "Stronger" alle ovvie due hittone, "Garden" e "Household goods".


La mia reazione al live è stata assolutamente scontata, visto che ho cantato come un bambino, goduto molto e fatto due lacrimine sul cantato di "Garden", grazie alla voce molto bella anche se poco audibile per via delle sbatte tecniche della cantante, ma quello che mi ha piacevolmente sorpreso è stata la reazione del pubblico: immaginavo che il grosso talento pop di TEED facesse una buona presa e sapevo della grossa ricettività di una platea come quella del Sonar, ma non mi aspettavo di vedere COSI' tanto fomento, così tanta gente goduta e così tanta gente cantare a squarciagola tanto quanto me: è la riprova che Orlando forse non è un pallino mio personale ma ha davvero un sacco di talento ed è probabilmente destinato a fare grandissime cose.

Il primo giorno di Sonar finisce così, col sorrisone a trentadue denti: di solito la sera del giovedì la si passa tranquilla con una buona cenetta e a letto presto, per evitare di arrivare morti al sabato, ma stavolta era davvero impossibile resistere all'offerta sterminata dei party off: il label showcase della Freerange con Jimpster, Manuel Tur e soprattutto Lovebirds, sotto casa, gratis era irrinunciabile, per cui cambio di programma, ci andiamo.

In realtà prima dei tre della Freerange suonano dei resident che definire imbarazzanti è un eufemismo, per cui la stanchezza del viaggio e del primo giorno di Sonar si impadronisce di noi e riusciamo a sentire giusto un'oretta - comunque ottima - di Lovebirds prima di andare a letto ribadendo che mai più sti cazzo di party Off Sonar organizzati solo per poter dire che hai suonato a Barcellona in quel weekend lì e che nel 99% dei casi sono gestiti col culo e semideserti.

martedì 12 giugno 2012

Orchestraibaz, puntata #108 - Cantati e classiconi

Set dalla duplice natura stasera: la prima metà consta quasi solo di dischi con del cantato, per la gioia di tutti noi fan del karaoke, a partire dall'ultimo remix tranquillone di Isolée per arrivare al missile electropop di Little Boots, una delle mie personalissime hit dell'estate, e concludere con uno dei tanti dischi shoom-inducing dei sempre validi Benoit e Sergio; da lì in poi, passato un buffo interludio a base di vocal brasileiro e percussioni sbilenche, si fa un tuffo nel passato e nei classiconi.

Ovviamente a farla da padrone è sua maestà Godd Terry, qui presente col suo ultimo disco, più un tool che altro, e con uno dei suoi più grandi capolavori: non saprei dire se è meglio "Something goin' on" o "Keep on jumpin'", è come quando ti chiedono se vuoi più bene alla mamma o al papà, fatto sta che o uno o l'altro, comunque, dove lo metti lo metti è goduria infinita.

Ma non basta, perchè c'è anche il remix di Argy di un classico recente, ovviamente uscito da poco ma che suona come 15 anni fa, e lo dico in senso assolutamente positivo, anche per via dei sample di "Short dick man" che è uno dei dischi della mia infanzia (e che per un attimo oggi mi è scappato su un piatto :)), ma poi, parlando di infanzia, una delle combo più devastanti a memoria d'uomo; già ai tempi Dlugosch e Sandy B li suonavano quasi tutti sempre assieme, e risentiti oggi se ne capisce il motivo, visto che è il classico caso in cui il valore della combo è molto maggiore di quello dei due dischi presi singolarmente, che già è stratosferico.

Chiusura facile facile, con una missilata d'annata di Bangalter e G-man e col disco abbraccioni e lacrimoni, per gentile cortesia di Steve 'Silk' Hurley.

In sostanza e in rigoroso ordine cronologico, quindi:

Manuel Tur feat. Holly Backler - Most of this moment (Isolée rmx) (Most of this moment)
Roman Flugel - Deo (Dial)
Hunter game - Boogie music (Diynamic)
Ben Westbeech - Something for the weekend (Lee Foss & Robert James rmx) (Strictly rhythm)
Ornette - Ornette (Phonique rmx) (Get physical)
The kdms - Tonight (Morgan Geist rmx) (Gomma)
Little boots - Every night i say a prayer (679)
Benoit & Sergio - Everybody (DFA)
Nico from Noze - Amor do olinda (Get physical)
Gusto - Disco's revenge (Manifesto)
Todd Terry - Baby baby (Tee's inhouse rmx) (Inhouse)
Todd Terry - Something goin' on (Manifesto)
Osunlade - Envision (Argy vocal rmx)
Boris Dlugosch pres. Boom! - Keep pushin' (Manifesto)
Sandy B - You make the world go round (Champion)
Gabrielle - Forget about the world (Daft punk rmx) (Virgin)
Jestofunk - Special love (Steve 'Silk' Hurley rmx) (Club tools)

L'accoppiata 'karaoke-lezione di storia', ovviamente, è risentibile anche in differita, scarricandola da qui, mentre qui c'è il feed RSS del podcast da incragnare nel vostro iTunes/Winamp/Google reader/quant'altro, per essere sempre aggiornati con le puntate nuove.

venerdì 8 giugno 2012

Totally enormous extinct dinosaurs - Trouble

La mia passione per TEED non è cosa nuova, per cui non potevo assolutamente esimermi dallo scrivere qualcosa sul suo album, in uscita proprio oggi.


Iniziamo subito col dire che "Trouble", così si intitola l'album del buon Orlando Higginbottom, segue la strada del "metto insieme un po' di tracce fighe" piuttosto che quella di "produco un album che abbia un senso nella sua interezza": il progetto TEED dà il suo meglio sulla distanza breve dell'EP o della singola traccia, per cui qualcosa come un concept album sarebbe stato probabilmente chiedere troppo.

Invece, "Trouble" raccoglie i singoli già usciti, a partire da "Household goods" con cui ho scoperto le meraviglie di quest'uomo dai buffi copricapi per arrivare ai singoli più recenti tipo "Tapes & money" (uscito con dei remix spettacolari di Maya Jane Coles ed Eats Everything, giusto per non farmi contento) e a qualche traccia ancora inedita ma che molto probabilmente uscirà anche come singolo, tipo "American dream pt. II", e la cosa non è affatto un male: la forza colossale di TEED sono le singole canzoni, e anche solo averle raccolte tutte assieme è già tanta ma tanta roba.

Orlando, infatti, è nettamente il miglior esponente del filone di pop "danzabile" (o di dance "orecchiabile", dipende dal punto da cui la si guarda) a cui si potrebbero assimilare, tra gli altri, Benoit & Sergio, i Pillow talk e i Footprintz, ma anche tipo Katy B; con "Garden" e lo spot del Nokia Lumia ha fatto il botto pure qui da noi in itaglia, tipo che il mio post in cui rivelo al mondo chi sia il fantomatico autore della colonna sonora dello spot è tuttora quello che ha avuto più accessi di questo blò da quando esiste, ma indipendentemente da questo i saputi già lo osannavano al SXSW dell'anno scorso e ovviamente il tenutario qui suonava i suoi dischi già da prima ancora.

La vera figata di questo "Trouble" è che ha almeno una traccia in grado di piacere a chiunque, dal fan della nudisco à la Hot Creations che apprezzerà "Stronger" (prossimo singolo, mi pare), al fintoindie hipstereggiante che si lascerà rapire dalle metriche spezzate e dal testo un po' folle di "You need me on my own", ma anche all'infoiato del revival anni '90 che verrà spettinato dai chord e dal coro di "Your love" e al technohead che headbanga sentendo "Solo": TEED ne ha per tutti, grandi e piccini, e ovviamente ne ha per me, che amo alla follia praticamente tutto quello che butta fuori e che quindi accolgo quest'album come uno dei migliori dell'anno.

Per quanto mi riguarda, a meno di miracoli, se la giocano lui e John Talabot per l'album del duemiladodici, ma indipendentemente dal gusto personale di un singolo itagliano che gestisce un blò letto da tre/quattro persone, con questo disco qui Orlando ha dimostrato di essere assolutamente in grado di fare il grande salto verso il mainstream e di poter diventare uno di quelli che riempiono gli stadi (la presenza scenica non gli manca, tra l'altro), e io glielo auguro di tutto cuore, chè è bravo bravo e se lo meriterebbe.



mercoledì 6 giugno 2012

I remix contest dei veri duri

A fare i remix contest che escono su Beatport e su Soundcloud sono capaci tutti: ti scarichi il sample pack, che nella maggior parte dei casi è bello ordinato e fatto coi synthini già fatti bene, e probabilmente è anche di una traccia che ti piaceva, la smanulli per qualche pomeriggio con l'Abletus di turno, e il giuoco è fatto, con possibilità di ricompensa che, nella maggior parte dei casi consistono nell'uscita in un remix pack che non si cacherà mai nessuno.

Questa è la versione facile del remix contest, però: là dove osano solo i veri nerd, quelli più hardcore, quelli che non devono chiedere mai, si remixa la fuffa.

"Riceviamo e volentieri segnaliamo", come si suol dire, la segnalazione di "Mamma che inno", remix contest italico che mette in palio nientepopodimeno che due giorni e tre notti per due persone spesate a Londra con tanto di ingresso alla cerimonia di apertura delle olimpiadi.

Il premio, quindi, è bello grosso, e ovviamente richiede uno sforzo non indifferente: la traccia da remicsare, infatti, è brutta forte e, ovviamente, la base di partenza non è un sample pack bello ordinato ma giusto l'mp3 con voce ghitarrina e l'orribile armonica tutti mischiati assieme: ma d'altronde, "with great risk comes great reward", e il gioco vale la candela: il premio è figo come non riesco a immaginare di meglio, ma la traccia da remicsare è....rullo di tamburi......


Pare impossibile, in effetti, ma io confido che qualcuno dotato di abbastanza coraggio e talento per tirarne fuori qualcosa di interessante, al mondo, ci sia.

E probabilmente, questo qualcuno rischia pure di andare a vedere gli Underworld che sonorizzano la cerimonia di apertura di Londra 2012, quindi mi fa dell'invidia ulteriore.

venerdì 1 giugno 2012

Perchè non dovete ignorare le pubblicità, e altri insegnamenti

La mia generazione è cresciuta in un mondo in cui la pubblicità è sempre esistita e ha sempre avuto (o cercato di avere) una posizione privilegiata al centro della nostra attenzione, per cui un po' tutti noi abbiamo sviluppato modi più o meno elaborati per sfuggirle, che vanno dalla cecità o sordità selettiva a strumenti un po' più elaborati come i vari adblocker che si possono installare su qualsiasi browser in modo da eliminare il fastidioso contenuto pubblicitario e consentirci di sopravvivere un pochino di più all'information overload di cui siamo vittime quotidianamente.

La verità, però, è che ignorare completamente ogni tipo di advertisement può non essere l'idea migliore, e la curiosa vicenda che vado a raccontarvi ne è un esempio.

Poco più di un mese fa, infatti, cazzeggiando su un popolare social network con un grosso quantitativo di utenti e (di recente) un discreto quantitativo di sbattimenti in borsa, mi imbatto in un banner pubblicitario che dice, più o meno, "Ti piace scrivere del codice? Noi qui a questo social network cerchiamo dei bravi sviluppatori".

Ora, il social network in questione è notoriamente un posto strafigo dove lavorare: giusto per dire alcuni dei motivi, ha tra le sue fila alcuni dei migliori hacker del mondo, si sono scritti internamente un sacco di cose, solo alcune delle quali (il compilatore PHP e il tool per le code review, per dirne un paio) hanno anche rilasciato opensource, lavorano a qualcosa che uso quotidianamente, che ho scoperto essere una feature assolutamente indispensabile per un posto di lavoro, e tra l'altro la sede è a Palo Alto.

Così, un sabato sera come un altro, vado a comprarmi una vaschetta di kebab e clicco sul banner pubblicitario, che punta a un problemino da risolvere con del codice in un tempo massimo; il problemino è relativamente semplice, per cui in poco più di metà del tempo prestabilito riesco a montare una soluzione abbastanza soddisfacente e a finire il kebab, dopodichè, senza pensare più di tanto alle possibili implicazioni future di quello che ho appena fatto, esco a bere come il sabato sera comanda.

Se non che, verso metà della settimana successiva, mi arriva una mail da una tizia del social network suddetto che dice "aoh figata che hai fatto il quizze, molto bravo, hai ottenuto il punteggio massimo, che me lo mandi un cv che ne parliamo?"; un cv, lo si sa, non si nega mai a nessuno, e chi sono io per negarlo a Zucherbe e ai suoi compari?

Insomma morale che il cv ovviamente glielo mando, e (un po' meno ovviamente) gli piace pure, per cui vediamo di organizzare un paio di call su Skype e/o telefono, durante le quali parliamo di quelle cose standard dei primi colloqui tipo raccontami dei tuoi ultimi progetti, perchè ti piacerebbe lavorare da noi, quanti anni avevi quando hai iniziato a scrivere del codice, blablabla, insomma le classiche domande un po' preliminari e un po' conoscitive in cui conta molto mostrare dell'entusiasmo, e la cosa mi viene piuttosto facile perchè, diciamocelo chiaramente, se non è il mio dream job questo allora non so cosa; il mio entusiasmo è evidentemente percepibile e il mio background, tutto sommato, sufficientemente figo, per cui senza nemmeno troppo sbattimento avanzo al livello successivo della quest: l'interview tecnica via Skype.

Le cose si fanno serie e gli argomenti dell'interview sono cose a cui non metto mano dai tempi dell'università, per cui decido di mettermici d'impegno e passo un po' di sere e di weekend a ripassarle, pisciando anche un rarissimo Aril Brikha a Milano, e il primo maggio (botta di culo, non devo neanche prender ferie) finalmente affronto il bossfight di turno: un'ora e un quarto di esercizi di programmazione non impossibili ma neanche banali, di cui in un modo o nell'altro riesco ad arrabattare una soluzione, ovviamente sudando come una fontana e arrivando a fine colloquio stanco come se avessi corso una maratona.

Convinto di non aver fatto schifo ma neanche di aver strabrillato, attendo pazientemente un responso, sapendo che se dovesse essere andata bene dovrei fare un altro colloquio uguale e poi in caso andare a Dublino a fare l'ultimo face-to-face e se dovesse essere andata MOLTO bene andrei direttamente a Dublino, fino a quando, all'incirca una settimana dopo, arriva una mail che dice, rullo di tamburi, che vado dritto nella terra della Guinness senza passare dal via.

Figata.

Panico.

Panico.

Devo studiare come un dannato.

E infatti nelle due-tre settimane successive ogni momento libero lo dedico allo studio, imparando a fare cose di nessuna utilità ma che fanno parte delle tipiche domande da colloquio tecnico, come invertire una linked-list in place, calcolare se due rettangoli si sovrappongono o se una stringa è palindroma o risolvere il Dutch flag problem.

Qualche settimana e non pochi sbattimenti organizzativi dopo (i visti lavorativi per gli USA sono limitati nell'anno fiscale e sono quasi finiti, per cui c'è da fare in fretta, e tra le altre cose io avrei anche un lavoro, che oltretutto ho cambiato da poco, ma che ricambierei subito di fronte a un'opportunità così), quindi, prendo un aeroplanino e vado nella città più brutta del mondo dopo Genova, coi neuroni ormai liquefatti da settimane di studio peggio che quando mi sono laureato e una comprensibilissima situazione di alta precarietà intestinale.

Per farvela breve, il colloquio face-to-face consta di quattro colloqui tipo quello che ho già fatto, però ovviamente più ostici e, come dice il nome, face-to-face (o in videoconferenza), col codice scritto alla lavagna, oltre ovviamente a una mini visita turistica negli uffici del social network e un po' di chiacchieramenti con dei nerd su cose da nerd che rendono il tutto un'esperienza estremamente piacevole e divertente, nonostante la pressione psicologica che comporta questa cosa che, di fatto, è come un provino per giocare nell'NBA per un giocatore di basket.

Finito il tutto, comprensibilmente, cedo alla pressione psicologica e passo un weekend intero a dormire, sopraffatto dalla fatica di un mese di studio hardcore e dalla tensione accumulata e poi scaricata, e a metà della settimana successiva arriva la risposta più probabile, visto che anche all'ultimo step del processo di recruiting viene comunque rimbalzato il 90% della gente.

Morale, ripercorrendo tutta la vicenda, sono partito da un banner pubblicitario e sono arrivato a un passo molto breve dalla Serie A dei nerd, scoprendo o dimostrando:

  • che non sono poi così scarso (ma evidentemente neanche così bravo, visto che sono ancora da questo lato dell'oceano)
  • che nel momento del bisogno (i giorni immediatamente prima della gita turistica in Irlanda ero in preda al terrore più cieco) ho una quantità spropositata di supporto morale a disposizione da parte degli ammisci e di supporto globale totalissimo e indispensabbbbile da parte della persona con cui ho deciso di condividere il tetto
  • che tutto sommato, andare a giocare nell'NBA, o anche solo andarci vicino, non è così impossibile (ma questo lo sapevo già, me l'aveva dimostrato un mio ex collega appena passato a un'altra squadra dello stesso campionato)
  • che la cecità selettiva o peggio ancora gli adblocker sono da evitare, perchè nelle pubblicità potrebbe nascondersi qualcosa di interessante.