martedì 21 dicembre 2010

OrchestRaibaz, puntata #64 - Best of 2010

Dopo un paio di settimanine di pausa dovute a sbattimenti assortiti, ecco quindi che l'orchestrina torna a spargre gioia musicale in giro per la rete, questa settimana offrendo a voi affezionati ascoltatori la puntata finale del duemiladieci, quella che raccoglie tutto il meglio dell'anno che volge al termine.

Stavolta partiamo dalla fine, dalla tracklist:

Mathias Kaden - Kawaba (Dj Koze's kosi san rmx) (Vakant)
Art department - Without you (Crosstown rebels)
Unknown - Wax 30003 B1 (Wax)
The gathering - In my system (Jef K rmx) (Gathering)
Rozzo - Meta tracks vol. 2 (Trackdown)
Larry heard - Deja vu (Innervisions)
Chymera - Ghosts (Conaisseur)
Tensnake - Coma cat (Permanent vacation)
Kink - Existenz (Ovum)
Pablo Cahn - Elle (Cadenza)
Shlomi Aber & Kenny Larkin - Sketches (Shlomi Aber version) (Be as one)
Anthea & Celler - Mandara (Cecille)
Seth Troxler & Matthew Dear - Hurt you (Spectral)
Lee Curtiss - I can hear you arthur (Supplement facts)
Carl Craig - At les (Christian Smith rmx) (Tronic)
Chymera - Dreamrunner (Funk D Void rmx) (Outpost)
Lusine - Two dots (Ghostly)

Magicamente, sono riuscito a far stare insieme decentemente nello stesso set molte anime diverse, da quella cupa e oscura del remix di Koze su Vakant a quella fricchettona e poppeggiante della megahit di Tensnake, da quella "ti schiaffeggio con classe" delle meravigliose percussioni con lo shuffle a mille di Rozzo a quella oldschool e drittissima dell'Ovum di Kink.

Come prevedibile, in un mixato del genere non ci sono particolari highlight, i dischi sono praticamente tutti protagonisti e validissimi: non c'è spazio per tool o riempitivi, tutto quello che c'è è roba grossa.

Per scaricare il set e risentirlo gioendone molto, basta andare qui, mentre da qui ci si può sottoscrivere al feed RSS del podcast in modo da avere le puntate nuove sempre belle e pronte.

lunedì 20 dicembre 2010

Del meglio della musica del 2010 - Album version

L'anno volge al termine, e come ogni blogghero che si rispetti è tempo di tirare un po' di somme e riassumere i fatti salienti di questo 2010, concentrandoci ovviamente sull'argomento principe di questo blò, i prodotti per capelli la musica per ggiòvani.

Iniziamo dall'album dell'anno, che è ovviamente e a mani basse......



Pendulum - Immersion


Ne ho già parlato in lungo e in largo a tempo debito, qui e qui ma anche qui, ma vale la pena spenderci ancora due parole, perchè in un anno di pesantissima crisi d'identità per la musica "da club", indecisa se riscoprire le proprie origini funkettone sul versante house, virare verso le cose spezzettate di derivazione dubsteppeggiante o fare entrambe le cose, i ragazzi australiani ci hanno ricordato che spesso e volentieri farsi troppe seghe mentali è male e in fondo quello che conta è fare della gran caciara, cosa che a loro riesce daddìo.


Se a questo si aggiunge che l'album non ha praticamente momenti bassi, visto che la traccia peggiore, "The island part 2", è una maranzata allucinante ma nel contesto del disco fitta perfettamente, e che il live è qualcosa di devastante, il titolo di album dell'anno appare meritatissimo.


Altri album validi usciti nel corso dell'anno, rigorosamente in ordine sparsissimo:

Four tet - There is love in you




E' piaciuto a tutti: indiesnob, clubber, credo anche ai nu-raver con le orecchie ormai ottenebrate dai peti, ed è già qualcosa.

E' piaciuto molto anche a me, ed è quello che conta per finire in questo ambitissimo e ristrettissimo novero.

Il buon Kieran Hebden qui lo si conosceva già da un po' per le cose che ha fatto su Border Community, ma quest'anno si è preso di gran carriera lo scettro di portabandiera del sound dell'etichetta di Holden e Nathan Fake, stampando su un'altra etichetta, la Domino.

Proprio quando noi fan dei due ragazzi della BC avevamo perso ogni speranza, convinti che James e Nathan passassero ormai troppo tempo a drogarsi per riuscire a tornare ai fasti di "The idiots are winning" e "Drowning in a sea of love", ecco che Kieran Hebden ne raccoglie l'eredità e la porta ai giorni nostri con una maestria e una classe insperate, mettendo d'accordo tutti.

Chemical Brothers - Further






Ed e Tom sono tornati, dopo le alterne vicende degli album precedenti che oscillavano tra il "meh" e il "bleargh", finalmente tornano a fare quello che sanno fare e noi fans ne siamo più che lieti.

Peraltro, da quest'album è uscito uno dei migliori remix dell'anno, quello di Lindstrom e Prins Thomas per "Swoon", come se già non fosse abbastanza.

Kaito - Trust less




Cambiamo completamente genere e ci spostiamo sulle cose buone per le pennichelle e il rilassamento generico: Kaito in quest'ambito è una garanzia, non ci piove.

Questo suo album, purtroppo digital only, su Kompakt, raccoglie una serie di "beatless version" delle sue tracce, che private anche di quel poco di cassa diventano perle chillout da non ascoltare con attenzione ma solo da sentire col subconscio, che ne viene piacevolissimevolmente coccolato.

Daft Punk - Tron legacy soundtrack




Premessa doverosa: NON è un album dei Daft punk.

Ascoltato in quest'ottica, senza le pretese che sarebbero anche normali di fronte a un nuovo album di Bangalter e Guy-man, si rivela per quello che è veramente: una colonna sonora coi controcoglioni, che vale il prezzo del film al cinema pur sapendo che sarà una cagata allucinante, ma chi se ne frega quando puoi vedere delle scene d'azione maranzissime con "Derezzed" in sottofondo?



Underworld - Barking



Gli album di artisti di musica "da club" sono spesso e volentieri delle cagate pazzesche, raccolte di fondi di magazzino e tracce troppo fuffa per meritarsi un ep da sole mascherate da progetto organico; quando va di superlusso c'è una traccia appena decente sulla decina che compongono l'lp.

Nell'ultimo album degli Underworld ci sono due tracce dellamadonna ("Always loved a film" e "Scribble", prodotta assieme a quel geniaccio di High Contrast), che è già un ottimo risultato di per sè, ma in confronto a quellammerda fumante dell'album precedente ha del miracoloso.



Tensnake - In the house




Questo è il capo della prossima grossa tendenza sia del club che, dopo, del mainstream.

Non mi stupirebbe sentire la sua "Coma cat" suonata in tutte le radio e i locali commerciali nel corso del 2011, ma a parte questo il suo doppio cd su Defected è molto molto carino, a cavallo tra il suo sound nudisco gayissimo e cose un po' più "standard" e semplificate.

Credo di non essermi dimenticato niente, anche se probabilmente l'ho fatto lo stesso, ma già così credo di aver raccolto molto di quello che di meritevole è uscito in questo 2010: mi avanza ancora qualcosa da sentire a dovere, tipo l'album di Dj Fresh che giace abbandonato sul mio hd da tempo immemore, ma di sicuro c'è della roba che ho lasciato intenzionalmente fuori dal novero dei buoni e alla quale accennerò giusto brevemente:

  • Shed: dai su, hai fatto vedere che sei bravo, sei intellettuale, sei simpatico come un calcio nelle palle così piaci ai clubber impegnati, adesso piantala con ste cacate spezzate e rimettiti a suonar techno, che sei capace
  • Caribou: cacca per fintoindie, mi fa un effetto giusto poco meno fastidioso di quello che mi fanno i Justice
  • Matthew Dear: anche te, hai fatto vedere che sai fare l'artista eclettico con un album completamente anonimo e dimenticabilissimo pur di fare qualcosa di diverso, adesso torna a fare le cose che sai fare
  • Reboot: torna nel dimenticatoio, grazie e arrivederci, peccato, per un po' pensavo fossi bravino
  • Mr. G.: bleah.
  • Jamiroquai: bastava dirlo che avevi finito i soldi, non c'era bisogno di raschiare il fondo del barile a sta maniera
C'è qualcosa che mi sono dimenticato, affezionati lettori?

domenica 12 dicembre 2010

Addio Milano, addio Itaglia: Akufen al 4cento

Giusto nel post precedente e nei suoi commenti parlavo di come un po' di crisi e di contrazione del "mercato" del clubbing in itaglia, attualmente sovrassaturo e rigonfio di offerte merdose, potessero solo fargli bene, ed ecco che stasera accade l'evento che dimostra come avessi ragione al 101%.

Antefatto, settembre 2010: vengo a sapere che da lì a tre mesi, stasera per l'appunto, uno dei miei artisti preferiti, se non IL mio artista preferito, Akufen, viene a suonare nella mia ridente cittadina, famosa nel mondo per la sua offerta clubbistica loffa e scadente composta di party del cazzo con artisti modaioli di cui ho già avuto a lamentarmi in altre occasioni.

Esaltazione, giubilo, felicità.

Comincio già da settembre a spolverare e lucidare, in attesa di fargliele firmare, le mie copie della sua reinterpretation del Forcept 01 su Minus, forse il disco che ho suonato di più in assoluto e uno di quelli che sento più "miei" (assieme al Cadenza 004) e di Quebec Nightclub, uno dei Perlon più belli di un catalogo ricco di capolavori, per capirci questo:



Insomma, tre mesi in modalità "bambino dell'asilo la sera prima di natale".

Ora, dovete sapere che il 4cento, il fortunato locale che ospiterà la performance di cotanto genio, ha sempre avuto fama di avere politiche di selezione un po' rigide, fama un po' esagerata dal fatto che arrivando presto e senza artifizi di sorta sono sempre entrato senza alcun problema, comunque tanto per inquadrare un po' la situazione, trattasi di ristorante (!) abitualmente popolato di uomini di mezza età in camicia&giacca, il cui proprietario pur sapendo che alla sua clientela abituale non frega un cazzo del clubbing una volta al mese fa un artista serio, tipo che negli anni passati mi è capitato di vedere Kenny Larkin e Sis prima che diventasse famoso, ma ci sono stati anche Dandy Jack e A guy called Gerald, tra gli altri.

Insomma, una programmazione di tutto rispetto in un posto che non c'entra una fava.

Giusto per completezza e per dovere di cronaca e per farvi capire con che entusiasmo attendessi questo party, riporto anche l'articolo sulla serata di Akufen che un mio amico che lavora per Zero mi aveva chiesto di scrivere e che poi non è stato pubblicato:
Praticamente, più che un party, un’opera d’arte.

Prendi il 4cento e il suo clima elegantissimo, fatto di gente raffinatissima e anche un po’ attempata & ingessata, aggiungici i clubber che una volta ogni tanto lo invadono col loro spirito festoso e casinaro e mescola il tutto con uno di quei musicisti che danzano sulla linea di confine tra il genio assoluto e la follia più totale, uno che ha stampato un album fatto solo di campioni presi dalla radio: anche solo l’idea di mettere insieme questi ingredienti ha qualcosa di geniale.

Con una miscela così curiosa di persone e le infinite sorprese e pazzie di un set di Akufen potrebbe succedere qualsiasi cosa: non dite che non vi avevamo avvertito.
Morale, visto che è un party a cui tengo inizio già dal pomeriggio a mobilitare i miei contatti per avere certezza di riuscire a sentire Akufen, partendo dal mio amico suddetto e arrivando a chiamare direttamente il locale, il cui proprietario si mostra restio fin dall'inizio all'idea di avere un cliente entusiasta e mi spiega che il party è solo su invito, ma che comunque se siamo solo in due (io e Silvia) belle persone (!) e arriviamo presto non c'è problema.

Alle 23.45 pacco degli altri amici con cui ero, sfanculo tutto e alle 00.20 sono davanti al 4cento, con la mia borsa contenente i due capolavori e il pennarellino e con un sacco di entusiasmo, rassicurato dalla telefonata col proprietario....proprietario che invece ci spiega che non può assolutamente farci entrare perchè blablabla.

Non essendo persone abituate ad elemosinare gli ingressi ai party, ci giriamo e torniamo a casa, con la ferma decisione, se ancora ce ne fosse bisogno, di mandare affanculo la ridicola club scene italiana e soprattutto milanese, caso unico al mondo in cui i ristoranti, i club per appassionati di musica e i locali per quarantenni in cravatta non riescono ad avere un'identità propria e devono mischiare le cose a caso.

Certo, mi rendo conto che è pieno diritto del signor 4cento organizzarsi la sua festa privata chiamando a suonare Akufen, o dj Padrepio o chi cazzo pare a lui, ma in tal caso non ha granchè senso pubblicizzare la cosa sul principale organo di stampa della club scene milanese, oltretutto lamentandosi in prima persona che l'articolo pubblicato non lo incensa abbastanza, nè soprattutto ha senso prendere per il culo il povero appassionato di turno facendogli fare dei chilometri per niente: per mia fortuna il party era non lontano da casa mia, ma non penso proprio che le cose sarebbero andate diversamente se avessi guidato per delle ore per venire a sentire Akufen da un'altra città.

Morale della storia, la prima ovvia conclusione a cui mi ha portato questo ennesimo episodio di idiozia dei promoter della mia cittadina è il definitivo abbandono da parte mia di ogni forma di clubbing (ammesso che così lo si possa chiamare) nella mia ridicola cittadina e tendenzialmente, salvo rare occasioni, anche nella mia nazione, l'unica al mondo in cui mi è capitato di vivere esperienze del genere, l'unica al mondo in cui un appassionato di musica che vuole sentire un artista di suo gradimento deve iniziare a cercare agganci per l'entrata nel locale giorni prima, e non è detto che gli basti.

Sono stufo di questo finto clubbing fatto di contenitori vuoti, di organizzazioni improvvisate che giocano la carta della finta esclusività per mascherare il fatto che non hanno altro da offrire, di situazioni che rendono l'idea di andare a un party fonte più di sbattimenti che di soddisfazione.

Sono stufo perchè lo vedo succedere solo qui, sono stufo perchè so che non deve per forza essere così, sono stufo perchè ho visto coi miei occhi come sono i party fatti con in mente idee come la condivisione di una festa con altre persone con la tua stessa passione, sono stufo perchè non si può lasciare la gestione di qualcosa che mi piace e che mi sta a cuore in mano a organizzatori improvvisati.

Certo, del mio abbandono alla club scene milanese e italiana non potrebbe fregare di meno: le decine di organizzatori improvvisati continueranno a proliferare sulle spalle di quei tanti convinti che clubbing significhi code interminabili, politiche di selezione ridicole, location scadenti gestite da incompetenti e sempre gli stessi tre o quattro dj di Berlino, almeno fino a quando non arriverà un'altra moda spostando le attenzioni di tutti gli organizzatori in cerca di facili guadagni verso qualcos'altro e riportando il clubbing a una dimensione più sensata.

Fino a quando questo non succederà, e credo che sarà un lasso di tempo piuttosto lungo, invito voi tutti miei (pochi) lettori, e soprattutto voi pochissimi che avete avuto il coraggio di arrivare fino alla fine di questo lungo e noioso post, a riflettere sulle parole di Chris Liebing all'indomani di un evento tragico come la recente strage della love parade:
To really change something, we have to start with ourselves. We as DJs, we have to be even more sure about the “Who” we are playing for and the “Where” we are playing at – only like this, the fans can get a better orientation of where it is worth going and where it is save to celebrate. Basically everybody can change a lot with his or her behaviour in this world. The more alert we go through life, the more conscious we can make choices between good and bad products, services, events or other things. Like this we minimize the scope of action for cold-blooded profiteers.
Se il clubbing fa così schifo, un pochino la responsabilità è anche nostra che abbiamo permesso alle persone che lo hanno rovinato di prendere piede.

Il minimo che possiamo fare è evitare di dar loro i nostri soldi e il nostro tempo.

giovedì 9 dicembre 2010

Clubbing in NYC

Pensi al clubbing a New York City e subito viene in mente uno di quei posti che, nel bene e nel male, hanno fatto la storia della club culture, lo studio 54 con la sua selezione rigidissima e il pubblico di vip, ma anche a posti ugualmente storici come Stonewall Inn da cui il pubblico ha iniziato a sentir nominare la musica house; pensi a come, partendo da lì, si è evoluto il clubbing in tutto il mondo e ti aspetti di trovare posti giganteschi, superclub allo stato dell'arte da far invidia ai club più famosi d'Europa.

Il Cielo, fondamentalmente, me lo immaginavo grosso come il Trouw, stylish come il Cocoon e devastante acusticamente come il Berghain: in fondo tra i suoi attuali resident ci sono Kevorkian e Louie Vega, gente che quando viene da noi fa tranquillamente presenze a quattro cifre e tra quelli passati c'è gente tipo Sasha e Digweed, giusto per dirne un paio.

Mi immaginavo un superclub su venticinquemila livelli, con sessanta ore di coda popolata da opere d'arte più che da persone, pronte a sommergere di gioia il resident di turno Francois K. e il suo ospite Dimitri from Paris.

Surprise, surprise, arriviamo all'una e qualcosa e in coda non c'è nessuno: vabbè, è lunedì sera, i nuiorchesi fanno quasi tutti i freelance ma durante la settimana non c'è casino in giro per il meatpacking district come nel weekend, poi magari è già tardi e sono già tutti dentro, checcazzo magari ci siamo persi Kevorkian ossignore no dai speriamo di no...infatti, no.

Il batterista franconuiorchese e Dimitri from Paris stanno suonando back to back da chissà quando, ma la sorpresa delle sorprese è il club: niente palchi sopraelevati, tavoli di cristallo, astronavi in console o laser, il Cielo è un capannone piuttosto piccino (azzarderei che con 500 cristiani lo si riempie e con meno di 700 lo si stipa), rivestito internamente in legno che fa tanto chalet e con poco altro che qualche disco ball e un inevitabile Funktion one, senza alcuna sovrastruttura quindi ma comunque con un sacco di classe che si nota da dettagli come la mensola coi profumi free in bagno, perfetta per il ballerino a rischio pezzata.

Anche la folla è completamente diversa dalle aspettative: sarà il lunedì sera, sarà che in USA house e techno non hanno mai avuto stabilmente pubblici da grandi numeri (fatta eccezione ovviamente per i megaeventi) e che negli ultimi anni sono stati soppiantati come punta di diamante del clubbing dall'rnb e quelle cacate lì, fatto sta che lunedì sera al Cielo ci saran state massimissimo duecento persone, tutte molto istruite e consce della situazione, al punto che quando Dimitri ha suonato un disco col giro di piano di Marshall Jefferson per poco non volavano i reggiseni, tutte festose e gioiose come prevede la liturgia dei party house delle origini.

Ciao, sono anziano ma mi difendo ancora daddìo

E "delle origini" è anche il set della leggenda e del parigino, che palleggiano avanti e indietro tra cose di vecchissima scuola che odorano di Paradise Garage e roba nudisco: particolarmente interessante è vedere Kevorkian suonare col piglio del resident, quello che "qui siamo a casa mia e fate quello che cazzo dico io", anzichè con l'atteggiamento dell'ospite "faccio le mie X ore di set, vi dò quello che vi aspettate da un mio set e mi levo di culo", che gli consente di cambiare passo più e più volte, ovviamente mantenendo la coerenza che si confà a un dj del suo calibro ma saltando agile come un ninja dalla garage house alle castagne dub techno di Deadbeat su Wagon repair, per poi chiudere ricordando a tutti i suoi inizi da batterista con percussioni latineggianti che si accavallano l'un l'altra sempre più, crescendo di velocità e groove a oltranza fino a esplodere nel gran finale, una Belo horizonti che ci manderebbe a casa tutti contenti se nel pubblico non ci fossero anche degli altri italiani che a colpi di "po, po po po po pooo poooo", fomentato anche dai poveri americani ignari di quale immane sventura sia l'orrido coro, lo costringono a mettere un ultimò ultimò.

Grazie a dio ce ne battiamo il cazzo di queste scene pietose e ce ne andiamo, con la convinzione che, ancora una volta, oltreoceano stanno un pezzo avanti a noi e hanno capito che il futuro del clubbing sono i party intimi, con pochi appassionati desiderosi di fare festa tutti assieme, senza fronzoli minchiate sovrastrutture inutili e dannose.

Speriamo che questa tendenza, già presente in alcune sporadiche eccezioni, diventi la regola anche qui da noi.