martedì 25 ottobre 2011

Orchestraibaz, puntata #89 - Laurent Garnier

Set tributo, come non se ne vedevano da un po' su queste paggine!

E a chi dedicare il tributo dopo un weekend come quello appena passato, se non a uno dei più grandi musicisti contemporanei, fresco fresco di esibizione giovedì sera davanti ai miei occhi e dentro il mio cuòre?

Solo ed esclusivamente dischi di Laurent Garnier, stasera, per rendere il dovuto omaggio al live/dj set esagerato di giovedì scorso.

Ci sono, ovviamente, alcune delle sue tracce più famose come "Crispy bacon" e "Gnanmankoudji", c'è ovviamente "The man with the red face" uno dei dischi più belli di sempre in assoluto, non solo tra quelli di Lorenzo, ma ci sono anche un po' di chicche nascoste della sterminata discografia del grandegenio from France, tipo "Sore fingers", pubblicata come b-side di "The sound of the big babou" e che ricordo suonata da un altro grande dj, Claudio Coccoluto, in apertura di un set subito dopo il sottoscritto.

Morale, nel set di stasera c'è solo una parte della sterminata produzione di Lorangarniè, che spazia lungo tutti i generi, tutti i filoni e tutti i possibili modi di interpretare la musica elettronica (e non solo quella): a sto giro ci siamo dedicati principalmente al suo lato techno, in futuro...chissà!

In ordine cronologico, le tracce di stasera sono queste qui:

Flashback (video version)
Smart move
Sore fingers
Back to my roods
The force
Acid Eiffel
Returning back to Sirius
Crispy bacon
Le groove de ta mére
Astral dreams
Gnanmankoudji
The man with the red face

Per chi volesse gustarsi il bignami di Garnier, lo si può scarricare da qui, mentre per essere sempre aggiornati con le puntate nuove, qui c'è il feed RSS del podcast da incragnare nel vostro iTunes/Winamp/Google reader/quant'altro.

L'evento danzante di Amsterdam, anche quest'anno

Seconda esperienza all'ADE per me, dopo quella positivissima dell'anno scorso, con un po' di esperienza alle spalle in più e un po' di effetto sorpresa in meno, chè ormai al clubbing in terra olandesa ci si è fatta un po' di abitudine e ci si stupisce un filo meno (ma neanche troppo) per quanto sia tutto a livelli stratosferici nei club dei mulini a vento.

Il menu della settimana prevedeva, in rigoroso ordine cronologico: giovedì sera Laurent Garnier in versione LBS al Paradiso, venerdì sera Dave Clarke presents al Melkweg e sabato sera l'ultimo dei party dei dieci anni di ResidentAdvisor al Trouw, con Robag Wruhme e Agoria più qualche altro e l'ospitone a sorpresa.

Le premesse, alla partenza, non erano dei migliori, visto che il cambio di stagione drasticissimo e improvviso di settimana scorsa mi ha portato in dono un raffreddore mortale di quelli che ti tagliano le gambe e ti trasformano in una sorta di pupazzo imbottito di moccio, ma ovviamente qui non ci si fa fermare da certe sottigliezze e con la valigia carica di aspirine si parte lo stesso, con l'intento di dosare accuratamente le energie compatibilmente con le esigende di sonno legate alla mia precaria condizione di salute.

Morale, giovedì la prendo adeguatamente comoda, cenettina tranquilla con Fede in attesa che ci raggiunga anche la mia signora e poi ci dirigiamo al Paradiso, club in cui ero già stato l'anno scorso e che è sempre uno dei più belli mai visti: wifi libera all'interno (è una feature abbastanza comune nei club olandesi, mica come nei nostri in cui non prende neanche il telefono nella stragrande maggioranza dei casi), edificio antico presumibilmente ricavato da una ex chiesa o cose così, viste le vetrate decorate, le grosse balconate ai lati della sala principale, il parquet quasi dappertutto e la sala piccola, al piano principale, col caminetto; in sostanza il classico posto che qui ti spacciano per location caratteristica in modo da far pagare l'ingresso settordicimila euroes per andare in un posto con l'impianto della playmobil a sentire i dischi della Carrà mixati dal primo Gino Salamella di passaggio in mezzo ai quarantenni col foulard nel taschino che ordinano magnum di Crystal, mentre nei paesi civili ospitava il miglior dj del mondo con un impianto commovente e un pubblico che vabbè chettelodicoaffare.


Ma andiamo con ordine, perchè prima dello show di sua maestà Lorangarniè c'è un giovine di belle speranze che fa il set d'apertura: a onor del vero non è proprio giovinissimissimo e nemmeno del tutto sconosciuto, visto che è Nuno Dos Santos, ma il set d'apertura è veramente coi fiocchi.

Il ragazzo è resident del Trouw come 360 soundsystem assieme a Patrice Baumel, oltre ad aver già all'attivo un buon numero di release molto interessanti assieme a TJ Kong, per cui non è esattamente l'ultimo dei cretini, e infatti il suo set d'apertura è uno dei migliori dell'intero weekend, con sonorità molto classy e quel crescendo moderato che si confà a un preserata, in modo da arrivare, con una linea ineccepibile, a un giusto quantitativo di legna con l'approssimarsi del peaktime e dell'ospite principale della serata: non so se lo vedremo mai qui in Itaglia visto che non è un nome di moda e non fa roba come quella che va qui adesso, ma il ragazzo merita assolutamente per cui se dovesse capitarvi a tiro non perdetelo assolutamente.

Tra una roba e l'altra si fanno le due, è l'ora in cui finalmente tutti noi possiamo dire, come direbbe Simone KK, "prenditi cura di me, Garnier", e Lorenzo in effetti dal momento in cui inforca le cuffie si prende cura di noi come il più professionale degli infermieri, curando alla perfezione ogni aspetto sonoro e pilotando le nostre emozioni come solo lui sa fare, aiutato anche da una quantità moderata di strumentazione, della quale abbiamo ritenuto necessario fornire una diapositiva:


Con cotanto bendiddio a disposizione, è naturale che due mani non gli bastassero, per cui Lorenzo si fa dare una mano da due che non sono proprio gli ultimi dei pezzenti: Benjamin Rippert ai tastieroni e Scan X alla cassa (no, non quella del supermercato).

Nonostante il live sia presentato come L.B.S., però, è poco più di uno one man show, visto che Lorenzo alterna momenti di dj set a momenti in cui suona alcuni dei suoi successi principali live coadiuvato dai due soci, che comanda a bacchetta come un vero direttore d'orchestra: vai ora, continua così, ora più alto, ora più basso, aspetta, continua, fai così, fai cosà, ok ora sedetevi che suono due dischi, Beniamino e Scanicso sono nulla più che estensioni del genio di uno dei più grandi musicisti contemporanei, genio che in questa veste ha modo di esprimersi al 100% in tutto il suo eclettismo: uno dei migliori dj del mondo (se non il migliore) e uno dei migliori live artist del mondo, assieme, mischiati alla perfezione.

Per farvi capire in parte la portata veramente ENORME dell'esibizione di Lorenzo, compito veramente ostico, il meglio che posso fare è mostrarvi questo video che ha postato lui stesso sulla sua pagina di Facebook:



Vedere solo il video, però, pur essendo già così qualcosa di grosso (particolare da osservare per capire la qualità del pubblico, il boato alla fine del video, dopo appena due note del basso di "The man with the red face"), non rende l'idea appieno, perchè mancano i venti minuti di dj set immediatamente precedenti in cui Lorenzo ha suonato "Panta rei" di Agoria e poi delle missilate al limite dell'hardgroove prima di un'intro lunghissima suonata live proprio di "Gnanmankoudji" in grado di creare una suspence esagerata esplosa in un momento di estasi collettiva quando, finalmente, è partito il sax.

Morale, Lorenzo è il solito, grandissimo, pilota che tutti conosciamo e adoriamo, uno che ci guida esattamente dove vuole, che sa esattamente come riempirci le orecchie di goduria meglio ancora di come noi stessi potremmo mai immaginarci, è uno che potresti stare a sentirlo per dei giorni di fila e suonerebbe sempre nuovo, fresco e mai sentito prima d'ora, in grado di stupirti a ogni disco e a ogni cambio di passo della sua esibizione live.

E' con la morte nel cuore, quindi, che alle quattro, quando mancano ancora due ore buone al set di Lorenzo,  decidiamo che il raffreddore il malessere e la stanchezza hanno il sopravvento su di noi e andiamo a farci una dormita ristoratrice, visto che ci sono ancora due giorni di party e non vorrei collassare a metà.

Il venerdì, che non so per quale motivo è storicamente la giornata più loffa del weekend a livello musicale, decidiamo quindi di prendercela più comoda possibile, cazzeggiando in giro per la deliziosa cittadina dei mulini a vento e facendo un po' di shopping, prima di andare a scassarci quantità industriali di sushi all you can eat e dirigerci al Melkweg; l'idea iniziale era di fare un passaggio preserale al Cafè Cox per il party di lancio della compilation di Rush Hour con personaggi interessanti tipo Juju & Jordash, ma a furia di prenderla con comodo s'è fatta una certa e non s'è fatto in tempo, per cui diretti al Melkweg che propone Dave Clarke e una serie di amici suoi, tra cui i più interessanti sono Andy Weatherall e Derrick May e i più insulsi sono Joseph Capriati e Len Faki.

Ora, mi direte "che cazzo vai a fare a sentire Capriati e Len Faki?" e la domanda è più che legittima, ma la realtà dei fatti è che al momento in cui ho preso le prevendite non c'era nulla di più allettante, tipo che le alternative prese in considerazione erano il party di Digweed e quello con Joey Negro e Kenny Dope...vai a sapere che al party di Frankie Knuckles si sarebbe aggiunto all'ultimo momento Kevin Saunderson per fare il live degli Inner City, maledizione.

Ma non solo: il giorno dopo abbiamo il checkout dall'hotel alle 12 e dobbiamo passare la giornata in giro prima del party di sabato per poi andare diretti all'aeroporto, quindi l'intenzione è di restare al Melkweg fino massimo alle tremmezza, cose così...e infatti Derrick May suona alle quattro, dopo due ore di Dave Clarke, porcaputtanaluridaschifosaimpestata.

Ma andiamo con ordine, chè comunque di roba da raccontare ce n'è: quando arriviamo al Melkweg sta finendo di suonare uno che pare lo zio Fester e in realtà è Daniel Miller, ovvero nientepopodimeno che il signor Mute Records, quello che stampa i Depeche Mode, per intenderci, uno che è più vecchio dei miei genitori e da cui quindi ti aspetteresti un set ricco di chicche nascoste provenienti da tempi remoti, e invece, sarà per la vicinanza di figuri come Len Faki e Capriati, sarà la vecchiaia, sarà che ne so, ma l'anziano propone un set di quella techno nuova senza alcuna anima, col bassone rotolone e levo la cassa - sirena - rimetto la cassa: valore assoluto un sei stiracchiato, valore considerata la portata del personaggio direi cinque meno, valore considerato che fai un set con ste missilate a mezzanottemmezza due meno meno.

La foto è venuta malissimo, ma la pelata luccicante si nota eccome
E infatti il povero Andy Weatherall che suona dopo di lui e a differenza di Fester un po' di classe ce l'ha è costretto a imprimere una bruschissima frenata, partendo a tipo dieci bpm meno del suo predecessore, col risultato che la pista si svuota di gran carriera, ma Andy non si perde d'animo e col piglio del dj d'esperienza riconquista la folla, aiutato anche dal fatto che nell'altra sala Len Faki sta proponendo la sua solita merda in grado di far sembrare le marcette naziste di Dettmann roba varia ed eclettica: vien da chiedersi se abbia qualcuno che gli tira calci nelle palle quotidianamente, visto l'astio inutile e immotivato che esprime nei suoi set.

Insomma, Andy Weatherall: un gran bel set di acid house vecchio stampo, coi clap della 909 secchissimi e un sacco di 303, lento, ipnotico, ossessivo e con un adeguato crescendo: avesse fatto apertura lui, la serata sarebbe stata eccellente, invece ci tocca sentirlo dall'unemmezza alle tremmezza e la cosa va comunque strabene, visto che nelle sue due ore sfodera delle acidate provenienti da chissà dove e da chissà quando assieme a qualcosa di più nuovo e scontato ("Ragysh" di Todd Terje, che ormai credo suoni anche Albertino) senza soluzione di continuità e riuscendo a riguadagnarsi l'affetto della folla che il distacco dalle catenate senza senso di Daniel Miller gli aveva alienato.

Alle tremmezza avevamo già deciso di andare a dormire in modo da totalizzare almeno sette ore di sonno prima di una giornata che si preannunciava faticosissima, e la presenza simultanea di Joseph Capriati in una sala e Dave Clarke nell'altra (a proposito, quanto fa schifo da uno a dieci il suo Fabric nuovo? io voto almeno "quattordici") non fa nulla per trattenerci, quindi grazie e arrivederci.

Sabato, quindi: ultimo giorno amsterdamense e data dell'ultimo dei dieci party per la celebrazione dei dieci anni di ResidentAdvisor, con una lineup di tutto rispetto che prevede, tra gli altri, Robag Wruhme, Agoria e l'ospitone a sorpresa.

La giornata passa in fretta tra un salto da Concerto, dove trovo due Megasoft office per una spesa totale di undici euro e una visita al pasticcere più antico di Amsterdam, patria di quei magnifici biscotti del campione con due strati di wafer che racchiudono un quintale di caramello, per poi arrivare a sera al Trouw, sede del party di sabato anche l'anno scorso e locale anche questo di una bellezza rara: ricavato nell'ex stamperia di un giornale (il Trouw, appunto), ha un'ambientazione industrialeggiante splendida che si sposa alla perfezione col ristorante ospitato all'interno del club e con il Funktion one che suona perfettamente.

Quando arriviamo nella sala piccola stanno suonando i 360 soundsystem del già citato Nuno dos Santos assieme a Patrice Baumel, ma mi dirigo subito nella sala grande, dove l'opening set è affidato alle sapienti mani di Agoria: che ultimamente lui sia in forma smagliante non lo scopro certo io, la sua Infinè sta inanellando una meraviglia dopo l'altra (su tutte l'album di Arandel) e il suo set al Sonar, che sfortunatamente mi sono perso, mi è stato raccontato come una delle cose migliori del 2011, quindi mi accomodo davanti alla console con le migliori aspettative....che vengono soddisfatte appieno.

La foto è pessima, ma la somiglianza con Thom Yorke si nota tutta
Il buon Sebastién, negli anni, le ha fatte un po' tutte, dai technoni bigroom di "La onziéme marche" alla minimale melodica di "Sky is clear", sempre con ottimo profitto, ma adesso bisogna dire che è probabilmente nel pieno della sua maturità artistica: il suo opening set è gestito con la maestria di un gran dj, con la quantità di legna che da scarsa diventa moderata e poi adeguata, con le pause piazzate nei punti giusti e le ripartenze da tranquille a macellose e, soprattutto, con una tecnica che lèvati, veramente.

Già suonare la sua house deeppeggiante e con un gran retrogusto francese non è semplicissimo mettendo i dischi uno in fila all'altro, perchè c'è da incastrare a dovere le tonalità dei dischi e i loro andamenti non sempre banalissimi, se poi lo fai con la sua quantità di effettistica e a tre piatti, allora sei veramente una cintura nera: bravissimo Sebastién, quand'è che qualcuno me lo fa risentire senza che debba prendere un aereo?

Dopo di lui è il momento dell'ospite a sorpresa, per cui c'è un sacco di suspence: negli altri party di RA il livello degli ospiti non è stato enorme come si poteva sperare, cioè ok, Theo Parrish ancora ancora, Steve Bug appena appena, ma Loco Dice? Seth Troxler? MARCEL DETTMANN? Spacci gli ospiti per gente che ha scritto la storia degli ultimi dieci anni della musica elettronica e poi fai, rispettivamente, il capo dei tamarri, un ottimo dj che prima di due anni fa nessuno sapeva chi fosse e IL CAPO MONDIALE DELLE MARCETTE NAZISTE MODAIOLE? Morale, la speranza di vedere un ospitone c'è sempre, ma è affiancata dalla consapevolezza che molto probabilmente la sorpresa sarà deludente....e invece.

E invece dalla porta sul retro della console esce un tizio, prima ancora di vederlo sento il boato della gente in quei tre-quattro metri che lo separano dalla console, poi lo vedo, ed è...."the son of God", in persona.

L'ospite a sorpresa dell'ultimo party di RA è Sasha.

Sto già male, quando in console assieme a lui si presentano altri due figuri del tutto sconosciuti, ma la cosa mi sembra normale visto il consueto seguito di sgherri sicari e inservienti assortiti che si porta dietro Sasha...ma poi uno dei due mette un disco, e il secondo disco lo mette l'altro dei due sconosciuti, mentre Sasha rimane appoggiato al fondo della console a pensare ai cazzisuoi.

Smadonno forte per la delusione e vado di sotto a sentire un Robag Wruhme pesantemente senza ispirazione ed evidentemente monco dopo la separazione dal suo socio Monkey Maffia, che propone un set di minimale divertente ma neanche troppo e più di una volta deve affidarsi a dei classici per via dell'evidente mancanza di idee, tipo che nell'oretta in cui l'ho sentito io ha suonato "Losing control" di Dan Bell e un'originalisssssssima "Dexter" di Villalobos che ok, bellissimi dischi, però suvvia so che puoi fare di meglio.

Nel frattempo gira voce che i due sconosciuti di sopra abbiano a che fare col Fabric, e finalmente mi si accende la lampadina: uno dei due è Craig Richards, l'altro ancora non so chi sia (scoprirò poi essere Lee Burridge, che con Richards condivideva il progetto Tyrant, in cui Sasha aveva un ruolo marginale proprio come nel set di sabato, una diecina buona d'anni fa); insomma, l'ospitone gigante del party di chiusura dei dieci party dei dieci anni di RA è uno che quando è venuto a suonare al Gasoline a Milano ha suonato tipo dieci minuti e poi è andato in bagno a vomitare l'anima...vabbè.

Per forza di cose, però, finito il set di Gabor mi tocca andare a sentire i fantomatici ospitoni, di una portata così grossa che più di un olandeso mi si appropinqua e mi chiede "ao, ma tu sai chi cazzo sono questi?", visto che di sotto sta suonando un orripilante Donato Dozzy: ora, dovete sapere che il buon Donato detiene un primato non troppo invidiabile, visto che l'ho sentito una volta sola ed è stato l'unico dj al mondo a riuscire a farmi addormentare in un club, grazie al suo set contenente due suoni in croce e in cui la massima varietà è "levo la cassa - metto la cassa" (senza neanche la sirena in mezzo, si noti); decido di dargli comunque un minimo di fiducia, ma nel primo quarto d'ora le statistiche dicono due suoni, venticinque giochini levo la cassa - metto la cassa, zero dischi interessanti, molta noia, per cui decido di andare a sentire cosa propone Craig Richards assieme al suo amico sconosciuto mentre Sasha li guarda annoiato.

E devo dire che i ragazzi lì mi sorprendono positivamente, perchè pur non essendo niente di trascendentale si lasciano ascoltare con piacere, proponendo dell'house lievemente techneggiante festosa e senza troppe pretese: nulla da strapparsi i capelli e di certo non i set da lacrimoni che Sasha è in grado di fare anche bendato e con le mani legate nè gli eccellenti set che so che Lee Burridge è in grado di proporre (Craig Richards vabbè, è una battaglia persa), ma comunque roba che ti fa scuotere il culo con moderazione e con gusto.

Il Trouw chiude alle quattremmezza e noi dobbiamo essere in aeroporto alle sette, per cui per evitare la ressa dell'uscita alle quattro e un quarto salutiamo tutti e ci leviamo di culo, con la goduria di un weekend di altissimo livello nel cuore.

Riassumendo:

  • Laurent Garnier è sempre una divinità
  • Len Faki bah
  • Agoria è uno dei dj più in forma del 2011
  • Robag Wruhme, invece, era meglio prima
  • Dozzy non fa per me
  • I party con l'ospite a sorpresa sono un esperimento interessante, mi piacerebbe vederne ancora magari con ospiti che non hanno fisionomie immediatamente riconoscibili, tipo Troxler o Sasha o Dice, ma con personaggi di media notorietà, in modo da poterli apprezzare in modo completamente libero dal pregiudizio; in itaglia non so quanto sia fattibile, visto che l'unica fonte di incasso dei party è il nome sul flyer, ma non mi dispiacerebbe :)
  • Amsterdam e gli amsterdamensi sono sempre meravigliosi, e i loro club sempre di un'altra categoria rispetto ai nostri

martedì 18 ottobre 2011

Orchestraibaz, puntata #88 - Bassate un po' spezzettate

Niente tracklist questa settimana, per via di uno sbattimento pernicioso col pc che mi ha fatto perdere il salvataggio del file su cui l'avevo segnata mentre suonavo, per cui vediamo di ricostruirla andando a memoria: c'è un remix spezzettato di Luke Solomon, c'è non uno ma ben DUE Scuba, che come produttore è molto bravino e come dj invece fa vomitare i cani morti a suon di marcette naziste, c'è un remix dei Radiohead e un altro bel po' di roba fica dei soliti nomi del nu-boogie, tipo Maceo Plex, Tanner Ross e cose del genere.

Insomma, c'è un sacco di goduria basseggiante, non necessariamente con la cassa in quattro, ed eccezionalmente a sorpresa, visto che non avete modo di sapere che dischi ci siano :)

Tutta questa goduria, per chi fosse curioso di sentire cos'ho suonato senza poterselo immaginare prima, si può scarricare da qui, mentre per essere sempre aggiornati con le puntate nuove, qui c'è il feed RSS del podcast da incragnare nel vostro iTunes/Winamp/Google reader/quant'altro.

martedì 11 ottobre 2011

Orchestraibaz, puntata #87 - Dnb classics

Ormai non è quasi neanche più una variazione sul tema, il mixato con le metriche spezzettate che capita una volta ogni tanto :) L'idea di partenza del set di stasera era di suonare un po' di roba di tre dei migliori album di questo 2011, rispettivamente Katy B, Nero e i Brookes brothers, che infatti compaiono tutti e tre, e poi avevo un po' di cosine nuove interessanti da provare nel filone "dnb e altri spezzettamenti assortiti", per cui il mixato si è preparato all'incirca da sè.

Diversamente dal solito, stavolta c'è una gran bella concentrazione di grandi classici e di nomi che hanno fatto la storia del genere, come Adam F, High contrast o i Prodigy e di gente che recupera suoni e sample oldschool rivisitandoli in chiave nuova, come Danny Byrd che ha fatto un intero album basato su questo "revival", ma anche di hit recenti come "Tears you down" proprio dei fratelli Brookes, che è una perla.

Giusto per completare il lotto, poi, c'è un paio di remix di tracce famose della scuola della cassa in quattro, che rivisitate in salsa dnb fanno comunque la loro porchissima figura: purtroppo sono ancora troppo abituato a suonare lineare e non riesco ancora a cambiare tempo ogni due-tre dischi come fanno i "veri" dj che suonano "bass music" (come si chiama ora la roba spezzettata), per cui c'è un solo cambio di passo poco dopo metà set, quando un disco con dei sample di "Out of space" si tramuta magicamente nell'originale, e da lì in poi si procede con un passo un pelino più lento e più dritto, ma ugualmente godurioso.

Insomma, in rigoroso ordine cronologico:

Funk D'void - Diabla (Joash rmx) (Soma)
High Contrast - In a gadda da vida (Hospital)
Calibre - Garbage man (Signature)
Photek - Thunder (Dj Die & Clipse rmx)
Shinichi Osawa - Star guitar (Brookes brothers rmx)
Futurebound & Metrik - Brave new world (Viper)
Brookes brothers - Tears you down (Breakbeat kaos)
Unknown - Music sounds better with you (White)
Commix - Be true (Metalheadz)
Adam F - Circles (Section 5)
Danny Byrd - Planet earth (Hospital)
Prodigy - Out of space (XL)
Katy B - Katy on a mission (Rinse)
Breakage feat. Jess Mills - Fighting fire (Digital soundboy)
Nero - Promises (More than alot)
Prodigy - Invaders must die (Take me to the hospital)
Nero - My eyes (More than alot)

Ovviamente, come al solito, il set è scarricabile da qui, mentre per essere sempre aggiornati con le puntate nuove, qui c'è il feed RSS del podcast da incragnare nel vostro iTunes/Winamp/Google reader/quant'altro.

mercoledì 5 ottobre 2011

Simon Reynolds - Retromania

Simon Reynolds è invecchiato.

E' anche normale, capita a tutti di arrivare alle soglie della terza età (è del '63, è ormai pericolosamente vicino ai cinquanta), perdere ogni entusiasmo nel presente e trasformarsi nel solito vecchio barbogio che si lamenta che ai suoi tempi era tutto meglio, che non ce le avevamo mica tutte ste diavolerie tecnologiche che ti imbesuiscono e basta.

Certo, trattandosi dello storico musicale più importante degli ultimi anni dispiace un po', ma purtroppo è questo che gli è capitato: si è trasformato in un vecchio lamentoso.

Non si spiega in nessun altro modo il suo ultimo libro, Retromania, la cui pubblicazione è stata seguita da un tour promozionale (al quale ho partecipato pure io) che neanche le rockstar, segno secondo alcuni del fatto che nemmeno l'editore stesso credeva che il libro si sarebbe venduto da sè e ormai, a poche pagine dalla fine, posso capire il motivo: il libro, è, obiettivamente, brutto.


E' brutto per una buona serie di motivi: primo in ordine cronologico la premessa, spiegata in lungo e in largo e con una pletora di citazioni barboge nella prima parte del libro, secondo la quale i giovani d'oggi non sono più in grado di produrre musica nuova perchè tutte ste nuove tecnologie digitali li hanno rincoglioniti, perchè ai miei tempi quando dovevi farti il culo per trovare i dischi rari si che si stava bene, mica come adesso che su Youtube si trova tutto.

In buona sostanza quindi, secondo Simone, è in primo luogo colpa dell'abbondanza a cui ci hanno abituati le nuove tecnologie se ormai da quasi trent'anni non ci sono rivoluzioni musicali come il punk prima e la techno poi, perchè se i giovani d'oggi senza spina dorsale dovessero passare ancora le giornate a vaschettare nei mercatini di vinili usati in cerca di rarità, ufffffff, ci sarebbe una rivoluzione a settimana, guarda, te lo giuro, invece sti debosciati le rarità le cercano su youtube, che schifo, vuoi mettere, l'odore del vinile, la polvere, ma non lo senti come suona male da dio?

La cosa più buffa in assoluto, però, è che nella parte centrale del libro, la più corposa, Simone fa quello che sa fare meglio, ossia raccontare la storia della musica come gli è venuto da dio sia in "Post-punk" che in "Energy flash", allo scopo di provare la sua tesi appena esposta ma, rullo di tamburi....si contraddice.

La parte centrale del libro, infatti, è il classico lungo excursus "alla Simon Reynolds" sugli ultimi 40-50 anni di musica in cui ti dimostra in maniera assolutamente inequivocabile che lo sguardo rivolto al passato più che al futuro è un fenomeno che è praticamente sempre esistito, che le compilation di vecchi successi ci sono sempre state e che persino movimenti rivoluzionari come il punk nascono come rimasticazione di musiche passate; aggiungeremmo noi, come se no bastasse, che pure l'altra rivoluzione musicale del secolo scorso veniva descritta dal suo ideatore come "like George Clinton and Kraftwerk are stuck in an elevator with only a sequencer to keep them company", in funzione quindi di qualcosa di passato.

Insomma, una volta stabilito che non è colpa di Youtube o di Beatport se oggi ci sono dei giovani che ascoltano musica di generazioni precedenti perchè è sempre successo (persino a Simone stesso), di cos'è che Simone lamenta la mancanza oltre all'odore della polvere e al vinile che suona male da dio?

E' presto detto, nella terza e ultima parte del libro.

Ciò di cui Simone sente la mancanza è la tensione verso il futuro degli anni '60-'70, gli anni della space race in cui il 2001 sembrava un futuro remotissimo e fantascientifico, con le macchine volanti, le astronavi e un monolito gigante che non si capisce da dove cazzo sia arrivato, il futuro dei Jetsons e dei libri di Asimov, un futuro che rivisto oggi, con gli occhi di un futuro mille volte più fantascientifico, è quanto di più naif, pacchiano e demenziale si riesca a immaginare, ma siccome è quello dell'adolescenza di Simone allora è il migliore dei futuri possibili, al punto da pisciare su gente che di Futuro ci capisce qualcosina:

Sterling [...] ritiene che il concetto di "futuro" sia un vecchio paradigma e che presto cadrà in disuso assieme alla parola stessa. [...] Gibson [...] trovava "il vero XXI secolo più ricco, strano e variegato di quanto avrebbe potuto essere qualsiasi XXI secolo immaginario" [...] La fantascienza tradizionalmente intesa in quanto esercizio teoretico non è più necessaria: il futuro è arrivato, ci siamo dentro. Quello che serve è "un'indagine del nostro presente alieno". [...] La prospettiva di Gibson è talmente diversa dalla mia da lasciarmi allibito. Quando attraverso il paesaggio urbano-suburbano dell'America o della Gran Bretagna, l'impressione è che negli ultimi trent'anni non sia cambiato quasi nulla.
In sostanza, la sci-fi classica ha clamorosamente toppato (almeno, nella stragrande maggioranza dei casi) a prevedere il futuro e il povero Simone ci è rimasto male, perchè il futuro non è come se l'aspettava e non è in grado di starci al passo, al punto che, ulteriore contraddizione, gli sembra che non sia cambiato niente: ma come, Simone, l'hai menata per tutta l'introduzione che i giovani d'oggi non sono più come i giovani dei tuoi tempi, che non hanno più la spinta del futuro, poi però no forse sono uguali, poi però è la società che è uguale perchè non ci sono le macchine volanti e il cibo in pillole?

Beh dai, almeno li porto bene, ne dimostro almeno dieci di meno
Insomma, quando c'è da fare il lavoro di analisi di raccontare la storia di un periodo musicale Simone lo vedi che è proprio a suo agio, che è effettivamente il migliore del mondo perchè ti fa rivivere il periodo come se ci fossi passato veramente, ma quando c'è da fare la sintesi, da ricavare concetti generali per poi guardare al futuro, lui per primo è scarsissimo, perchè ha un'idea di "guardare al futuro" che si è rivelata clamorosamente fallimentare, e alla luce di questo capisco perchè, quando alla presentazione del libro gli ho chiesto "si ok, c'è sta storia della retromania che rincoglionisce i giovani d'oggi, e allora what next, dove andrà la musica dopo questo?" lui non mi ha saputo rispondere: per il semplice motivo che la più grande vittima della Retromania e dello sguardo costantemente rivolto al passato è proprio lui, invecchiato e incapace di cogliere il futuro che in nuce vive già nel presente.