martedì 28 febbraio 2012

Orchestraibaz, puntata #101 - Slow and sexy

Dopo la puntata specialissima di settimana scorsa, ecco quindi che si riprende con le orchestre "regolari": questa settimana mi pare doveroso celebrare uno degli eventi musicali dell'anno, ossia l'album dei Soul Clap.

Ne ho parlato diffusamente nel post precedente, ma mi pareva giusto farne assaggiare un po' ai miei affezionati ascoltatori, anche perchè è così saporito che non ce la facevo assolutamente a non suonarlo: la prima metà del set, quindi, è ricca di cose solclappeggianti e wolf+lambeggianti, con un po' di novità da quell'ambiente lì anche non necessariamente contenute in "Efunk", l'album di cui sopra.

L'altro album strafigo uscito di recente e che per un motivo o per l'altro non ero ancora riuscito a suonare è quello di John Talabot (bella storia, non è neanche marzo e sono già usciti i due probabili album dell'anno, possiamo chiudere il 2012 così), che qui compare coi due dischi più "dancefloor friendly" ma che è fuori di dubbio un capolavoro assoluto.

Il resto, come si suol dire, vien da sè, tra il discone di Todd Terje e il remix più ridicolo del mondo della traccia di Ben Westbeech coi Jazzanova, tra un cantato sexy e il reedit e-sa-ge-ra-to del grossissimo (in tutti i sensi) Eats Everything di un grande classico come "Teachers" dei Daft Punk, svecchiato a colpi di bassata wobbleggiante e di effetti come se piovesse e, tra l'altro, gentilmente regalato a tutti noi fanz dell'inglesone su Facebook.

Ultima menzione d'onore per la chiusura downtempo con la traccia più bella di un altro album splendido (e sono tre) uscito di recente, quello degli italianissimi Esperanza su Gomma: dategli un'olfata, che se la merita pienamente.

Morale, in sostanza e in rigoroso ordine cronologgggico i dischi di stasera sono questi qua:

Soul clap feat. Franceska - Take it slow (Wolf + Lamb)
Roland Clark & X-press 2 - Let love decide (Art department rmx) (Skint)
Soul clap feat. Roldy Cezarie - Let it go (Wolf + Lamb)
Nufrequency feat. Maggie Reilly - My angel (Wolf + Lamb rmx) (Rebirth)
Soul Clap & Gadi Mizrahi - Romantic comedy (Double standard)
John Talabot - Last land (Permanent vacation)
Nufrequency feat. Ben Onono - Fallen Hero (Motor city dru ensemble rmx) (Rebirth)
Dj T - Opera buffa (Manik rmx) (Get physical)
Storm queen - Look right through (Environ)
Lovebirds - U give me love (Greg Wilson rmx) (Lazydays)
Pollyester - Concierge d'amour (Prins Thomas diskomiks) (Permanent vacation)
Jazzanova feat. Ben Westbeech - I can see (Vaitaitau rmx) (Sonar kollektiv)
Todd Terje - Inspector norse (Smalltown supersound)
Daft Punk - Teachers (Eats everything rework) (Not on label)
Soul clap - Dreams (W+L black)
John Talabot When the past was present (Permanent vacation)
Esperanza - Hanamachi (Gomma)

Come al solito, il linkino per scarricare tutto sto bendidio lo trovate qui, mentre qui c'è il feed RSS del podcast da incragnare nel vostro iTunes/Winamp/Google reader/quant'altro, per essere sempre aggiornati con le puntate nuove.

Soul Clap - Efunk

C'è poco da fare: Charlie ed Eli nell'ultimo annemmezzo sono tra i dj più importanti in circolazione, fanno parte di quella ristretta schiera di dj in grado di trasformare in hit qualunque cosa suonino, dal promo in uscita tra sei mesi su qualche etichetta trendy all'edit assurdo di qualche chicca anni '70 dimenticata da tutti, una volta che un disco compare in un loro set tempo qualche giorno lo si sente dappertutto.

Questa loro caratteristica però l'hanno acquisita a buon diritto, visto che i loro set sono sia goduriosissimi (e non è che non se ne sia mai parlato) che ricchi di chicche completamente sconosciute o di versioni un po' esoteriche di cose note, che costituiscono un po' la cifra stilistica dei due scoppiati di Boston: durante un party con loro si ha sempre la sensazione di ascoltare qualcosa di familiare, anche solo un vocal, una linea di basso o un sample che conosci e ti fanno sentire "a casa", ma con qualcosa di diverso che rende i loro set sempre freschi e interessanti.

Come molti grandissimi dj, sul fronte produttivo non hanno mai brillato particolarmente: i loro edit sono stratosferici, è vero, ma molte delle loro produzioni originali probabilmente non avrebbero avuto il successo che hanno avuto se fossero uscite con un altro nome, per cui l'approccio al loro primo album lungo è entusiasta ma con molta calma.

I Village People non sono nessuno
L'idea dell'album, che loro sostengono essere intitolato "Everybody's freaky under nature's kingdom" ma che è ovviamente del funk con dell'E, è declinare il loro motto, "slow and sexy wins the race", non più in versione dancefloor-oriented ma in modalità pomeriggiosa, rilassata e cazzeggiona come solo Charlie ed Eli sanno fare, unendo il tutto con la solita pletora di partecipazioni di amici e parenti, tipo il padre di Charlie che suona il basso in "When the soul claps" o Mel Blatt delle All saints che aggiunge del suo al vocal di "Everybody's gotta learn sometime" dei Korgis.

E cazzo, lo sanno fare proprio bene: l'album è bello bello bello, ovviamente in alcuni punti più che in altri, ma in generale è quanto di meglio ci si possa aspettare in termini di retroattualità e di scuotimento morbidoso del culo e della testa; non si headbanga forte, non si salta a quattro metri dal suolo ma, come è caratteristico dello stile Soul Clap, si ballicchia, si cazzeggia, si fanno quattro chiacchiere con gli amici, si beve una birra, si passa del tempo molto piacevolmente.

Ovvio, non è un album innovativo, o almeno non lo è nel senso stretto del termine: non ci sono momenti "oooooh" in cui si rimane esterrefatti di fronte al genio dirompente, ma è perchè lo stile Soul Clap non è questo; lo stile Soul Clap è sedurre l'ascoltatore con suoni "noti" e richiami a un passato che, bene o male, ci caratterizza un po' tutti e usarli per metterti in un mood positivo, per poi scatenare definitivamente la goduria con la loro sexiness caratteristica.

E' questo che li rende grandi e che rende "Efunk" un album dellamadonna: a stupire gli ascoltatori e a soddisfarli con qualcosa di nuovo son capaci tutti (si fa per dire, ovviamente), per farlo con ciò che consciamente o inconsciamente conoscono già ci vuole un sacco di talento.


giovedì 23 febbraio 2012

La musica del nuovo spot Adidas originals

Adidas originals è uno dei miei brand di abbigliamento preferiti: pescando a caso nel mio armadio ho un gran bel numero di cose marchiate col trifoglio, dalle felpe disegnate da Beckham ai jeans cobrandizzati con Diesel, dalle cose flashose anni '90 a, soprattutto, la roba della collezione di Star wars.

Tanto per capirci, la mia fidanzata che mi conosce poco quest'anno, al mio compleanno, mi ha regalato un paio di scarpe custom coi colori scelti da me: mi mancano forse giusto le robe ghepardate disegnate da Jeremy Scott o le scarpe pacchianissime coi panda di peluche, ma a parte quello ho quasi tutto.

Da pochi giorni è uscito uno spot nuovo in televisione, parte della nuova campagna "all Originals make moves" per il lancio delle ZX 750, le nuove scarpe strafighe che probabilmente compariranno a breve nella mia scarpiera, ed è piuttosto figo, ma soprattutto ha della gran musica, di quella nudisco col doppio clap che va di moda adesso e piace a grandi e piccini: ma che musica è?

Si tratta di uno dei gruppi alfieri del genere, Hercules & Love affair, con il remix di Moonlight matters di "Painted eyes":


Morale, dopo lo spot del Nokia Lumia coi Totally enormous extinct dinosaurs di qualche mese fa, un'altro spot in tv con della musica di qualità: sarà quella storia della poppizzazione, ma finalmente pare che gli artisti elettronici di spessore stiano iniziando ad ottenere i riconoscimenti che meritano (nonostante i grammy a Skrillex)

Friendly fires - Pala

C'è qualcosa di sottilmente perverso nel sapere di essere vittima di un'operazione commerciale: vedi un film o una pubblicità, o senti un disco, e istintivamente lo adori al primo impatto, anche se poi, in cuor tuo, lo sai che ti piace solo perchè è fatto apposta per piacerti, che non è niente di eccezionalmente strafigo ma è solo una cosa attentamente confezionata per colpire i tuoi recettori del piacere.



Ammetto, senza alcuna pudicizia, di non aver mai saputo nulla dei Friendly fires fino all'uscita del meraviglioso remix di Tensnake: da Wikipedia apprendo che sono in tre e arrivano dall'Hertfordshire, in mezzo al nulla che costituisce tutto ciò che in Inghilterra non è Londra, Manchester, Bristol o Liverpool, che sono sotto contratto con la XL, forse la più grossa delle etichette indipendenti (tipo che hanno anche Adele, tra gli altri) e che considerano tra le loro più grandi influenze la Kompakt, Carl Craig e Prince.

L'album, in realtà uscito a maggio 2011, è un gran bel dischino di per sè: pare un po' i The Rapture ma più virati verso il revival del post-punk di Madchester, si inserisce insomma in quel filone di pop elettronicheggiante (o di elettronica poppeggiante, dipende da come la guardi) e un po' oldschooleggiante e ricco di richiami agli albori della house e della techno che di recente fa faville, ha tre o quattro tracce veramente notevoli e fin qui tutto ok, ma la cosa interessante è che pone un sacco di interrogativi.

Il primo interrogativo è quello della premessa del post, ossia: è davvero un album figo, oppure mi piace così tanto solo perchè è certosinamente cesellato da produttori d'esperienza in modo da risultare appealing per la mia generazione, quella che per capacità di spesa e facilità di fomento è la più appetita dal mercato discografico in perenne crisi?

Non so rispondere, o forse non voglio: in un angolino della mia coscienza so che "Pala" non è affatto un capolavoro, anzi, non è altro che un bieco scimmiottamento di qualcosa di più di vent'anni fa, una manifestazione di quella Retromania che Simon Reynolds detesta al punto da essersi pubblicamente lamentato, in un post sul suo blog, di questo stesso video: 


(Già il titolo, "Live those days tonight", non è esattamente un proclama di innovazione e dirompenza col passato, ma il testo della canzone e il video sono pure peggio)

Morale, i fuochi amici qui guardano più indietro che avanti, non propongono nulla che ti faccia restare "oooooh" per quanto è nuovo e maisentito, ma anzi puntano dritti ai recettori del comfort, del cullarsi nell'ascolto di cose simili a quello che si sa che ci piace: è forse questo un male?

Sì, in linea di massima lo è, ma una volta tanto si può indulgere, suvvia.

C'è un altra domanda non da poco che sorge spontanea sentendo "Pala", però, ed è "si può apprezzare il revival di un periodo che non si è vissuto?": io nell'89 avevo sei anni, di Madchester e della preistoria della house ho letto solo sui libri e visto nei documentari, che cazzo c'entro con questi che rifanno cose che tutto sommato non mi appartengono?

Di nuovo, non so rispondere, ma se esistono fan degli Oasis sotto i 50 anni allora anche io posso apprezzare gente che copia cose di prima che  io nascessi.

martedì 21 febbraio 2012

Orchestraibaz, puntata #100 - Speciale

Cifra tonda!

Sparse in giro per questo blò ci sono cento puntate del podcast settimanale, che significa più di cento ore di musica, che se sommate a tutte le ore che ho accumulato prima di iniziare questo podcast nella mia quasi decennale carriera di dj fa un gran bel po' di dischi.

Per onorare il giro di boa della terza cifra, ho deciso di registrare una puntata specialissima, pescando in questo gran bel po' di dischi ed estraendone quelli che, più o meno, definiscono meglio degli altri il mio stile.

Ovviamente c'è un sacco di roba, per cui il set dura due ore e un po' anzichè la solita oretta e, ovviamente, il set è estremamente variegato, dato che mette insieme un sacco di generi diversi tra loro, dalla techno napoletana all'electro, dalla deep house alla minimale e a Detroit, ma credo tutto sommato di aver mantenuto una linea discreta, oltre a essermi divertito un sacco a registrare e ad aver scoperto degli accostamenti inusuali che ai tempi non mi sarebbero mai e poi mai venuti in mente.

La cosa bella di questo set è che molti dei dischi, oltre a essere belli di per sè, sono associati a bellissimi ricordi del mio passato di dj e di clubber, tipo quello di quella volta che Sven Vath ha fatto nevicare, o quello di Marco Carola all'alba in piramide al Cocoricò, o le fucilate che suonavo quando facevo chiusura al Cantiere delirio, o ancora quello col cantato latino che i miei compagni di console dell'epoca detestavano: non mi va di scrivere la tracklist perchè tanto è tutta roba (relativamente) famosa, e anche perchè vale la pena di ascoltarlo per immaginarsi il percorso che ho seguito in questi anni, o riviverlo assieme a me se siete stati tra quelli con cui l'ho condiviso.

Tutto il paccottone miscelato di musica in cui mi identifico è scarricabile da qui, per godersi questa specie di summa di quello che sono musicalmente, mentre, al solito, qui c'è il feed RSS del podcast per avere le puntate nuove maggicamente deliverate a casa vostra.

lunedì 20 febbraio 2012

Separati alla nascita


Shed sulla copertina del suo nuovo "The praetorian ep" sull'etichetta dei Modeselektor


Douglas Reynholm, CEO delle Reynholm industries, The IT crowd.

domenica 19 febbraio 2012

John Talabot @ Classic, 18-02-2012

Ah sì, adesso sì che si ragiona.

Settimana scorsa ho fatto l'errore di tentare una sperimentazione coraggiosa, andando in posti nuovi e situazioni diverse dal solito, ed è finita male: ieri sera, invece, sono tornato alle sane abitudini ed è stato, ovviamente, come tornare a casa.

Non c'è veramente nessun'altra parola con cui si possa definire ciò che i ragazzi di Classic hanno creato il sabato al Tunnel: "casa" è quel posto in cui sai che troverai sempre degli amici e quel posto di cui sai che ti puoi sempre fidare praticamente per ogni cosa: tutti i dettagli, che magari da fuori sembrano piccole cose e banalità, sono gestiti e organizzati alla perfezione, e solo quando metti piede da qualche altra parte ti rendi conto del lavoro enorme che tutta l'organizzazione mette in ogni serata.

Sembra scontato pensare a una gestione degli ingressi e delle liste assolutamente smooth e senza intoppi, a una programmazione musicale di altissima qualità e in grado di alternare nomi "classici" a "nuove proposte" allettanti, a dei resident in grado di gestire perfettamente il set di apertura; sembra scontato pensare al clima perfetto che c'è dentro Classic, fino a quando ti guardi in giro e scopri che Classic è tutt'altro che scontato, che il livello di perfezione a cui sono arrivati Lele, Diego, Vladi, Gero e il resto dell'organizzazione è frutto di anni di lavoro, passione e professionalità ed è qualcosa di assolutamente unico, almeno per Milano.

Iersera, poi, ennesimo regalo al giovane Raibaz, che sperava di sentire John Talabot già da un po' e ha già iniziato a organizzarsi per andare a sentirlo al Sonar, visto che è suo fan sfegatato fin dai suoi primi remix dell'anno scorso e sta letteralmente consumando l'album, di cui si è parlato in maniera positivissima di recente.

Ordunque, parliamo della serata di ieri: mi rifiuto di commentare il set d'apertura, perchè va a finire che divento ripetitivo e tanto ormai è risaputo che val la pena entrare al Tunnel prima possibile per godersi interamente i set di uno dei migliori resident in circolazione, quello a cui ormai sento fare set d'apertura da quasi dieci anni e non ricordo di aver mai pensato "oggi non è in giornata": non so davvero più cosa dire sulle aperture di Lele Sacchi, per cui vi basti sapere che ieri ha "solo" fatto la solita apertura perfetta, che fatta da lui sembra sempre la cosa più facile del mondo.

John Talabot, invece, si presenta come l'ultimo dei nerd, in camicina e barbetta, pianta nei cdj le sue due chiavette usb, inforca le cuffie e senza alzare mai la testa dal mixer ci regala un set della madonna: nella recensione dell'album avevo scritto che di fronte a un dancefloor non avrebbe potuto indugiare troppo nelle morbidezze che popolano "ƒin", e infatti lui non ci pensa neanche per un attimo, inserendosi alla perfezione nel solco deeppeggiante con tocchi di oldschool tracciato da Lele e infilandoci i suoi caratteristici chord solarissimi, ed è subito estate.

Oriol fa una magia: tempo neanche un paio di dischi e non siamo più in uno stanzone buio sotto i binari della stazione centrale in una fredda serata invernale, ma siamo sulla spiaggia di Barcellona, al tramonto di una giornata estiva: se chiudi gli occhi pare quasi di sentirla, la sabbia tra le dita dei piedi, assieme a quella goduria e quel sorrisone che rendono gli openair estivi così diversi dalle serate nei club e così unici; unire questa goduria al clima familiare di un club come il Tunnel e di una serata come Classic è una miscela esplosiva, il prodotto è una serata praticamente perfetta.

Due ore di set passano in frettissima, tra chicche sconosciute e cose più famose tipo l'ultimo splendido Floating Points (che pare sarà nelle vicinanze a brevissimo, state tunati) o il classico "Son of raw" di Dennis Ferrer, guardi l'orologio la prima volta per vedere da quanto sta suonando il Talabotti e sono già tipo le quattro, ed è il momento del regalone finale, l'ultima mezz'ora in cui Oriol e Lele fanno un disco a testa e, com'era prevedibile, finisce a chi la spara più grossa: Lele sembra avere la meglio in questa pseudogara divertentissima piazzando un devastante "Deep inside" di Harddrive, ma Giòntalabot non si fa spaventare dal pezzo da novanta e chiude così, a luci accese:


Morale, nella gara che non è una gara tra i due dj a vincere siamo tutti noi, che ce la siamo goduta un sacco per tutta la sera.

Per l'ennesima volta, grazie Classic.

venerdì 17 febbraio 2012

Una cosa da nerd

Anche se qui scrivo principalmente di musica, a volte di libri e raramente di altro, non ci si può dimenticare che in fondo, ma neanche troppo in fondo, sono un nerd, e mi guadagno da vivere facendo cose da nerd.

Ora, una delle caratteristiche principali della mentalità di noi nerd è che quando abbiamo bisogno di qualcosa che non c'è, vediamo di farcela da soli: è un fenomeno che capita con le relazioni interpersonali (e la quantità di rapporti interpersonali "fatti da soli" è il motivo per cui molti di noi ci vedono poco e portano gli occhiali), ma soprattutto capita con il software.

Molti dei pezzi di software più fighi attualmente in circolazione sono nati come risposta a un bisogno di un nerd che aveva del tempo libero: è il processo che c'è dietro la nascita di software che oggi sono di uso quotidiano per il mainstream come, tanto per dire un paio di nomi di basso profilo, Gmail e Facebook.

Se poi oltre a un bisogno si unisce anche la possibilità di imparare qualcosa di nuovo e giocare con dei giochi interessanti, è assolutamente impossibile tenere lontano un nerd dalla costruzione di qualcosa di nuovo.

Tutto questo lungo e generico cappello serve a introdurre l'ultima esternazione del mio tempo libero da nerd: il bisogno di turno è la necessità di evitare che nel sistema di tracciamento delle cose da fare che usiamo nel nostro team ci siano dei duplicati, in modo da impedire un sovraffollamento di roba ridondante nella lista degli issue da gestire.

Uniamo questo bisogno con la possibilità di giocare un po' con Ruby e con la compartecipazione di Alessandro (avere un compare in questi side project aiuta tantissimo a portarli a termine e a evitare che si trasformino nell'ennesimo mattoncino nella pila dei progetti iniziati e mai finiti), e il risultato è redmine_didyoumean, uno splendido plugin per Redmine - l'issue tracker in questione - che mentre stai scrivendo il titolo di un nuovo issue cerca tra quelli già presenti e, se ce ne sono di simili, te li sottopone, in modo che tu possa renderti conto se stai creando un task già presente.

Semplice, efficace, e divertente da realizzare.

Oltretutto, pare che il bisogno che soddisfa fosse piuttosto sentito, visto che ci sono già arrivate, spontaneamente, alcune richieste di feature nuove e una traduzione in cinese, quindi figata ulteriore :)

martedì 14 febbraio 2012

Forteba - Stereoform

Forteba è un mio vecchio pallino risalente a un passato che sembra lontanissimo.

Non ricordo di quanti anni fa stiamo parlando, mi trovo a Parigi a fare il turista, e come per ogni viaggio turistico vado in cerca di souvenir, ovviamente in un negozio di dischi: cazzeggio per un po' in giro per gli scaffali, pesco quattro-cinque cose che mi paiono interessanti e mi metto a una postazione d'ascolto.

Il validissimo negoziante, figura ormai praticamente defunta, mi si appropinqua con altri sei-sette dischi e mi dice "guarda, se ti piacciono quelli magari ti piacciono anche questi" (almeno, così ho inteso dall'alto della mia conoscenza pressochè nulla del francofono), e tra le proposte dell'eccellente negoziante c'è proprio questo Forteba, prontamente portato a casa e immediatamente diventato uno degli highlights dei miei primi set con Beatbank:



Passano gli anni (sei, per la precisione, dall'uscita di quell'ep lì), del buon ungherese si perdono un po' le tracce e l'etichetta su cui usciva, la Plastic city, perde gran parte del proprio smalto e della propria identità, incerta tra il mantenimento dell'impronta deep house che l'ha sempre contraddistinta nonostante il genere non abbia più molto da dire e tentativi di innovazione non sempre riusciti.

Ma veniamo a oggi, alla pubblicazione del nuovo album del caro Krisztián Dobrocsi, sempre sull'etichetta dei vari Terry Lee Brown Jr., The Timewriter e simili.


"Stereoform", che di Forteba è addirittura il terzo album, rappresenta in pieno l'attuale anima della Plastic City, un po' ancorata alla deep house "classica" e un po' no: una buona parte delle tracce dell'album infatti mantiene le caratteristiche tipiche delle release dell'etichetta di Mannheim (la stessa Mannheim che ci ha regalato maranzate come il Time warp e la Cecille), tipo i pad viaggioni  stesi sull'intera durata della traccia dando quella sensazione di tranquillità anche quando il groove è bello movimentato o i chord "classici" della deep house, e la cosa non è che dispiaccia quando il livello è così alto, anzi, ma ci sono anche momenti in cui si esce bellamente dal seminato.

Senza tracce come "Fallin" o "It's easy" che esplorano andamenti sensibilmente più lenti, o "Levitatt" che invece vira decisamente verso la techno, o ancora "Looking for the one" che se la ambienteggia, saremmo di fronte "solo" a un album di deep house abbastanza canonica ma comunque coi controcazzi, così invece ci sono anche un po' di risvolti inaspettati e piuttosto interessanti.

Intendiamoci, se vi aspettate qualcosa di radicale e devastantemente innovativo state pure alla larga da quest'album, che a conti fatti non che proprio brilli per coraggio: qui c'è solo un po' di "more of the same" ma molto ben fatto, in grado di riempire di goduria le orecchie e i cuòri degli affezionati del genere.

Tremmezzo su cinque, via.



sabato 11 febbraio 2012

Insegnamenti di un clubber anziano

Sono una testa di legno.

L'anno prossimo festeggio i dieci anni di onoratissima carriera di clubber in Italia e all'estero, con punte di esperienza oltreoceano, eppure ci sono alcune cose che ancora non ho imparato e che non riesco a farmi entrare in testa: chissà che scriverle qui mi aiuti a interiorizzarle meglio e magari sia d'aiuto per il giovine clubber inesperto che passa di qui per caso.

Insegnamento numero 1: qualunque cosa, ripeto, QUALUNQUE COSA ti dica un PR è falsa.
Partendo dal presupposto oggettivo e incontrovertibile che a qualsiasi PR sulla faccia della terra non frega un cazzo chi tu sia, perchè sei comunque una prevendita venduta in più o una crocetta in più sul suo foglio delle liste, ogni fottuto PR è disposto a giurarti le peggio stronzate del mondo e, in ogni caso, senza alcuna eccezione, le sue parole corrisponderanno a verità.

L'ennesimo, si spera, non più inutile esempio di questa grande verità l'ho avuto stasera, quando da bravo cliente ho chiamato il numero di uno sconosciuto per avere informazioni su un evento che mi interessava e ho scoperto:

  • Che l'evento era assolutamente solo in prevendita e non era possibile entrare senza (falso)
  • Che l'unico modo di ottenere una prevendita era incontrare lo sconosciuto in questione al massimo alle 22 fuori dal locale, per poi passare le seguenti 4 ore a grattarsi le palle a -4 °C (falso, visto che al locale sono arrivato alle 23.30 e ho fatto a tempo ad andare a bermi una cosa con tutta calma prima di entrare, a mezzanotte e quaranta, visto che sono testa di legno ma non del tutto coglione)
  • Che la lineup della serata sarebbe stata quella comunicata fin dall'inizio, con l'ospite che interessava a me da mezzanotte alle 3 e l'altro dalle 3 alle 5, visto che il PR in questione non mi ha detto nulla di diverso (falso: il secondo ospite ha paccato, cosa sicuramente nota alle 23.30 quando ho sentito il tizio per l'ultima volta, e l'ospite che interessava a me ha suonato, credo, dalle 3 alle 5; non lo so, perchè a tappare il buco è stato piazzato un dj relativamente famoso di recente che, per quanto sia tra i miei produttori preferiti, come dj mi fa cagare e alle 2 ho ceduto alla noia del suo set e sono tornato a casa)
Morale, se possibile, i PR vanno evitati più possibile: non sono certo i 2/3/5 euro in meno dell'ingresso in lista che vi cambiano la vita, ma a lungo andare boicottare il meccanismo truffaldino di questi figuri che ti raccontano le peggio minchiate pur di assicurarsi il tuo ingresso può dare solo effetti positivi.

Se proprio non se ne può fare a meno, fate riferimento alla figura del PR sapendo che comunque qualsiasi cosa dicano vale come una moneta da tre euro.

Insegnamento numero 2: la città di Milano ha tre aeroporti dai quali partono, quotidianamente, svariati voli per i paesi civilizzati del clubbing, in grado di soddisfare tutti i gusti: Berlino per chi vuole sentirsi a casa in mezzo agli italiani e il resto del mondo per gli altri.

Per le teste di legno come il sottoscritto che coltivano ancora la vana illusione di potersi godere un party di qualità vicino casa, la soluzione milanese è una e una sola, e non ci vuole una scienza a conoscerla: basta una spulciata neanche troppo approfondita a questo stesso blog per scoprire che tutti i resoconti positivi di serate milanesi fanno riferimento sempre agli stessi organizzatori, che avevano un livello qualitativo stellare già quando ho iniziato a girare per club io, ce l'hanno tuttora e sono convinto lo manterranno negli anni a venire.

(Tanto per non fare nomi, il loro progetto principale attualmente ha un nome che inizia per "C" e finisce per "lassic")

Tutte le altre situazioni, nessuna esclusa, sono costituite da figuri che la professionalità non sanno neanche dove sta di casa e pertanto vanno evitate come la lebbra: prova ne è che gli organizzatori della situazione suddetta, di recente, di fronte a un pacco di un ospite piuttosto importante come Kevin Saunderson hanno avvisato tempestivamente sia in pubblico che direttamente me quando ho chiesto informazioni sul party il pomeriggio stesso, mentre stasera ho scoperto del pacco dell'ospite quando ormai era troppo tardi, nonostante mi pare impossibile che la cosa non fosse nota agli organizzatori già da tempo.

Insegnamento numero 3, che fortunatamente ho già fatto un po' più mio per via di esperienze negative passate: i commenti positivi sono ammessi (vedi i riferimenti all'unica situazione nominata in questo post), quelli negativi no, onde evitare di scatenare le orde di PR che negherebbero gesucristo in croce pur di difendere la propria serata pacco e vedere di continuare a truffare i cretini che gli credono.

Per questo motivo, nè in questo post nè altrove nominerò la situazione che ha scatenato l'ira che ho testè verbalizzato: non è impossibile dedurre a chi mi riferisca, ma preferisco evitare schiere di commenti di parte perchè ormai sono vecchio e non ho voglia di litigare, e soprattutto perchè la realtà è una sola e non c'è modo di contraddirla: stasera ho preso un'inculata grossa come una casa, e questo post scritto di getto vuole essere un monito, anche e forse soprattutto per me stesso, ad evitare che la cosa si ripeta.

mercoledì 8 febbraio 2012

John Talabot - ƒin

Il lettore attento e l'ascoltatore affezionato del podcast conoscerà già certamente John Talabot, uno dei miei artisti preferiti di questo ultimo periodo di poppizzazione (ormai il termine è questo, facciamocene una ragione) dell'EDM: i suoi remix sono comparsi spesso e volentieri nei miei set e in generale presto molta attenzione alle sue produzioni, visto che ritengo che il ragazzo abbia del talento.

Va da sè, quindi, che l'uscita del primo full length album del giovine di Barcelona mi abbia riempito di entusiasmo, di aspettative, di speranze e di domande: sarà come la maggior parte degli album d'esordio di produttori emergenti, un'accozzaglia senza senso di cose troppo scarse per finire in un ep? Sarà come la media delle sue produzioni originali, carine ma mezza spanna sotto i remix? Sarà forse il caso di ascoltarlo e poi decidere?


Iniziamo da elementi di contorno di scarso interesse, tipo il titolo, da cui si evince che il giovane ha un coefficiente di nerdità bello alto: nessuna persona normale, in effetti, credo chiamerebbe un album ƒin, che suppongo si legga eff-in, bisogna stare decisamente male.

Per quanto riguarda l'aspetto musicale, il lato positivo è che, in effetti, l'album non è un'accozzaglia di scarti degli ep pubblicati finora ma anzi si vede che c'è del lavoro fattapposta dietro: purtroppo, però, il Giovanni Talabotti qui cade nell'altro errore comune dei giovini produttori EDM alla prima esperienza sulla lunga distanza, quello di voler fare il passo più lungo della gamba e di infilare quindi nell'album un sacco di roba troppo intellettualoide per far vedere che non è il primo stronzo ad aver indovinato due tracce.

E' un vero peccato, in effetti, che loffate inutilmente atmosferiche come "El oeste" intervengano a spezzare l'atmosfera altrimenti molto ben costruita di tracce come "Destiny" (assieme al degno compare Pional) o "Last land", che è forse la traccia più Talabottesca del lotto, coi colpi di cassa messi in ordine interessante e il mood malinconicone da lagrime al tramonto: per via delle - poche, comunque - tracce scarse, infatti, non me la sentirei di consigliare l'album a chi non avesse mai sentito nulla di John Talabot per iniziare ad apprezzarlo, operazione che viene molto meglio ascoltando i suoi remix tipo quello per Shit robot o quello per Teengirl fantasy, questo qui per capirci:


Certo, nell'album c'è una traccia un po' più accessibile, anche perchè in effetti assomiglia molto di più alle altre cose più famose, ed è questa "When the past was present"




Però rispetto al resto dell'album suona abbastanza diversa, questa sì come se fosse una cosa fatta precedentemente e infilata nell'album a forza: è molto carina e probabilmente è l'unica che riuscirò a incastrare in qualche puntata prossima dell'orchestra, ma la sensazione di scollamento col mood del resto dell'album è piuttosto netta.

Morale: io non nego di essere un fan di John Talabot e per questo ho apprezzato non poco quest'album, che rappresenta un approccio leggermente diverso, più ragionato e da ascolto al suo stile classico, ma non so quanto me la sentirei di consigliarlo a chiunque, visto che in alcuni momenti posso capire risulti piuttosto noioso e stucchevole, con questo desiderio di voler dimostrare di essere un buon artista sotteso in un po' tutto l'album.

Un sei emmezzo d'incoraggiamento, via, che comunque il ragazzo è ben capace e non vedo l'ora di vedere cosa fa live sabato prossimo al Tunnel, grazie ai sempre validi amici di Classic, dove non penso potrà indugiare in loffate eccessive.

martedì 7 febbraio 2012

Orchestraibaz, puntata #99 - Crescendo

Dopo un paio di settimane di assenza per motivi di salute, ecco quindi che ritorna l'orchestra con un cospicuo carico di dischi nuovi.

L'episodio in questione, che reca l'ultimo numero a due cifre (per la prossima puntata e per l'annesso giro di boa ho già in mente un'idea interessante), parte lentone e moderato come un po' tutti gli episodi recenti, ma stavolta il crescendo è nettamente più pronunciato del solito: verso metà set, infatti, ci sono due cambi di passo piuttosto netti che imprimono una nuova marcia al mixato portandolo verso lidi che non si toccavano da un po'.

I due cambi di passo in questione sono, rispettivamente, l'hittona (è attualmente in top 10 assoluta su beatport) degli italianissimi Life & Death su Visionquest e una delle tante tracce bislacche ma interessantissime contenute nella serie di compilation che la Dirtybird sta pubblicando in questi giorni: nomi relativamente inflazionati, quindi, soprattutto per quanto riguarda il primo dei due dischi, ma chissenefrega, quando il livello è così alto.

Oltre ai nomi inflazionati in questione, c'è anche qualcuno che pareva essersi definitivamente sputtanato e invece ora sembra aver ritrovato la retta via, tipo Marc Houle che assieme ai suoi compari Troy Pierce e Magda ha abbandonato il carrozzone della Minus per dedicarsi a cose più innovative e la cosa sembra iniziare a riuscirgli, o tipo Danilo Vigorito che sembrava aver finito le idee come un po' tutti i nomi storici della scena napoletana e invece con l'album nuovo sembra avere ancora qualcosa da dire (a differenza di quello che una volta era il miglior dj del mondo e ora non è nemmeno più la macchietta di sè stesso), e tipo il fantomatico collettivo La pena che ogni tanto riesce a uscire un po' dai soliti loop piccheppacche.

Ma non solo loro: pure Funk D'void, dopo le prime uscite brillantissime della sua Outpost, sembrava aver perso un po' di verve, ma ora grazie anche a questo remix di un misconosciuto Beaumont Stanford rispolvera l'animo techno e la bassata poderosa.

Per il resto, ci sono molti nomi che si vedono spesso qui, tipo il leggendario Greg Wilson o i soliti tizi del giro della Wolf + lamb che oh, cazzo vuoi dirgli, ogni volta buttan fuori qualcosa di interessante, o Floating Points che per quanto mi riguarda è uno dei migliori produttori attualmente in circolazione e anche uno dei migliori dj.

Morale:

Sasse - The solaris conspiracy (Ambient mix) (The exquisite pain)
Art department - Touch you gently (Crosstown rebels)
Lonely C & Baby prince - I remember those days (Voices of black rmx) (W+l)
Romulus Schwarz - At the half note (Left'd)
Dj T - Philly (2011 edit) (Get physical)
Ed Wizard & Disco double dee - Flip the beat (Greg Wilson edit) (Editorial)
Life and death - Step aside lightweight (Visionquest)
Marc Houle - Undercover (Items & Things)
Dj Crasy - That amen track (Breach's return to 93 rmx) (Dirtybird)
Chez Damier - Can you feel it (New york dub) (Defected)
Danilo Vigorito feat. Gretchen Rhodes - The smell of the city (Tuccillo deep mix) (Inside orion)
La pena - High noon (La pena)
Funk D'void - V-ger (Beaumont Stanford rmx) (Outpost)
Tony Lionni - Higher ground (Freerange)
Floating points - Arp3 (Eglo)

Per godere finalmente delle musiche dell'orchestra dopo le due settimane di pausa, basta scarricarle da qui, mentre come sempre, per essere sempre aggiornati con le puntate nuove, qui c'è il feed RSS del podcast da incragnare nel vostro iTunes/Winamp/Google reader/quant'altro.

Chemical Brothers - Don't think, la recensione tardiva

Insomma che, ovviamente, venerdì scorso non mi sono lasciato scappare l'eventone del film dei Chems, e solo ora, dopo un weekend in preda a una mezza influenza, ho tempo di scrivere le mie impressioni, mediate da qualche giorno di meditazione.


Premessa: io Ed e Tom li ho visti tre altre volte, in tempi ormai remoti, tipo che la prima volta che li ho visti era il tour di "Come with us", l'Heineken Jammin' Festival era ancora all'autodromo Imola ed era ancora un festival anzichè una calamita per le calamità naturali, e non li vedo live da un bel po', vuoi perchè gli ultimi album ("Push the button" ma soprattutto "We are the night"), per usare un eufemismo, facevano cagare ratti imbizzarriti, vuoi perchè in alcuni casi le loro date sono ormai di profilo troppo alto (se non ricordo male, quando son venuti qui a Milano per il tour di "Further" il concerto al Forum costava tipo poco meno di quaranta euro, cose così, poi uno dice la grisi).

Insomma morale che i miei ricordi di un live dei Chems sono ancora molto molto vivi nella memoria ma un pochino datati, pur avendo comprato rigorosamente nell'edizione più prestigiosa possibile ogni roba che han buttato fuori negli ultimi anni: per questo motivo, e per una serie di altri, avevo molto scetticismo nei confronti della roba di venerdì sera.

Avevo molto scetticismo perchè, come detto, gli ultimi album non erano niente di che (ok, "Further" è 10 spanne sopra quella merda di "We are the night", ma non vale comunque neanche l'unghia del mignolo dei primi tre album), ma soprattutto perchè sta roba dei concerti al cinema non è che mi convinca troppo: cioè ok va bene per i concerti di Ligabue, che tanto il pubblico di musica non capisce un cazzo e anche sentirlo a un volume da cameretta non fa troppa differenza - anzi - al massimo va bene per Robbie Williams, che è un gran performer e compensa la mancanza acustica del cinema con un comparto visivo all'altezza, ma un concerto dei Chems senza la bassata che ti rimbomba al centro del petto....boh, tanto più che per questioni di comodità sono stato a vederlo al cinema di Melzo, che oltretutto non lo programmava neanche nella sala con l'impiantone ma in una sala piccina qualsivoglia (non so in che sala fosse all'Odeon, ma ho idea che la situazione fosse simile...qualcuno che ci è stato conferma o smentisce?).

Tra lo scetticismo iniziale e il pre che non è esattamente dei migliori, visto che al cinema di Melzo si sono radunati praticamente tutti i tamarri della brianza con annesse bottiglie di montenegro e vodka alla pesca, fischi, cori e maranzerie assortite, quindi, le premesse ci sono tutte per una serata dimmerda, ma.

Ma Ed e Tom sono sempre Ed e Tom, e dopo neanche 10 minuti, tempo di vedere sullo schermo il cavallo gigante e un po' leonardeggiante dei visual di "Horse power", l'imperativo del titolo del film l'ho già preso alla lettera, ho già smesso di pensare in maniera lucida e sono completamente rapito da quello che attualmente è il miglior live in circolazione per combinazione dell'impatto visivo e sonoro, l'unico in grado di investirti con una cascata di emozioni così grossa e così variopinta, fatta di suoni luci colori immagini e un sacco di altre cose in una simbiosi così ben studiata da poter essere considerata una vera e propria sinestesia.

E fin qui tutto ok, cioè, tutto normale per un live dei Chems, ma poi, a un certo punto, un'infilata di colpi veramente pesanti: "Swoon", forse la traccia migliore dell'ultimo album, mette per la prima volta in mostra gli effetti aggiunti al film in fase di postproduzione e le figure che nei visual fluttuano nel vuoto ora fluttuano sopra l'enorme platea di giapponesi presenti al Fujirock dov'è stato registrato l'evento, e poi, sul finire della traccia, su un arpeggione romanticone da lacrime agli occhi, entra la sezione di percussioni della canzone romanticona da lacrime agli occhi per antonomasia del repertorio dei Chems, "Star guitar", e basta, da lì in poi è tutta discesa, i tamarri brianzoli, la settimana di fatica, gli sbatti di salute che mi sono portato dietro negli ultimi tempi sono tutti praticamente spariti e c'è solo tanto ammòre e tanta goduria di quella che non si può spiegare davvero a parole ma "you should feel what i feel".

Che poi, la versione che fanno live di "Star guitar" è ancora meglio di quella in studio, se possibile, giusto per capirci, un video di youtube in cui la si sente bene è questo di Glastonbury 2007:


E insomma da lì in poi tutto scorre come un "normale" live dei Chems, con qualche chicca in più regalata da Adam Smith, tipo il momento in cui l'inquadratura si sofferma su un dito che schiaccia un tasto di una tastiera, ma su quel tasto c'è un'etichetta con scritto "HBHG", parte il lead di "Hey boy, hey girl" e la platea giappa è scossa da un boato che neanche un terremoto, o le inquadrature della tipa che gira per il boschetto circostante al festival ed è inseguita dal faccione inquietantissimo del pagliaccio di "Acid children" e dal suo "You are all my children now", o la chiusura con un'esageratissima "Leave home" con il vocal di "Galvanize" (forse l'unico modo possibile per rendere accettabile una porcata come "Galvanize", accoppiarla con un capolavoro) e "Block rockin' beats", a ricordare che i veri Chems non sono quelli di "Believe" e "Do it again".

Morale, ovviamente non è neanche lontanamente un'esperienza paragonabile a un live di Ed e Tom visto dal vivo, ma è stato un surrogato più che adeguato, anche grazie al lavoro di Adam Smith e del resto dello staff del film che è stato davvero eccellente e ha reso l'esperienza in maniera tutto sommato più che valida, aggiungendo pure qualcosina che al concerto live manca e che valeva comunque i 13 euro del biglietto.

Dovesse uscire in dvd, io lo comprerei sicuro, e fareste bene a comprarlo pure voi.

venerdì 3 febbraio 2012

Cull.tv, MTV per il web duepuntozzèro

Per una serie di motivi che sarebbe lungo spiegare e che esulano dal contenuto di questo post (e che quindi potrebbe darsi si meriteranno un post a sè nei prossimi giorni, ma non prometto niente), negli ultimi giorni e realisticamente anche nei prossimi mi trovo ad entrare in contatto con una serie di startup del web duepuntozzèro, alcune di nessuna utilità, alcune magari carine ma legate a cose con cui c'entro poco e, raramente, alcune strafighe.

Fa senza alcun dubbio parte di quest'ultimo sottoinsieme Cull.tv, che si spaccia per la music television definitiva: in buona sostanza, fa tutte quelle cose di serendipity musicale che in tantissimi hanno sempre promesso e mai realizzato, da last.fm a Youtube disco, ma in maniera (pare) funzionante e con una serie di valori aggiunti.

Il primo e più evidente è che anzichè usare gli stream audio delle tracce, come già fa per l'appunto Youtube disco, usa i videi di Youtube, ma solo ed esclusivamente in full screen, col risultato che è piacevolissimo da tenere sul secondo monitor a farti compagnia mentre lavori/cazzeggi/scrivi questo post.

Ma non solo: seguendo un'altra delle grosse mode del momento dei social media, Cull.tv fa anche da strumento di content curation, permettendo a ciascun utente di crearsi i propri canali televisivi (il mio è qui) in cui includere i videi da diffondere al mondo: ovviamente ci sono dei "featured channels", ma ça va sans dire che il canale più figo di tutta la televisione Cullata è "Raibaz's tips", che finalmente raccoglie in un posto unico e di facile utilizzo tutte le cosine che ascolto, che mi va di condividere e che fino a ieri erano disperse per l'ampio e variegato mondo dei social network, mentre ora sono a disposizione di grandi e piccini in maniera rapida, indolore ed efficace.

Figata, insomma :)