mercoledì 18 maggio 2011

Alva Noto & Ryuichi Sakamoto @ Teatro dell'arte, ieri sera

Quando si dice le scoperte dell'ultimo momento: settimana scorsa non ne sapevo nulla ed ero già pronto a prendere un giorno di ferie in più per sentirli la domenica sera del weekend del sonar, ieri sera invece Alva noto e Sakamoto erano nella mia ridente cittadina, e ovviamente non ho potuto resistere.

Morale, esco dall'ufficio, prendo la mia macchinina e mi fiondo al teatro dell'arte, in tempo per arrivare col dovuto anticipo e rilassarmi un attimo e scrollarmi di dosso la fatica, in modo da approcciare la performance dei due genii con la mente sufficientemente sgombra.

In realtà, se anche avessi fatto una settimana ininterrotta di meditazione trascendentale, sarebbe stato del tutto inutile: tempo neanche cinque minuti dall'inizio dell'esibizione e i suoni magici di Alva noto mi hanno già completamente spento la.coscienza, che si risveglierà solo un'ora e venti dopo, a concerto finito.
Non posso dire di aver *visto* il concerto, né di averlo propriamente *sentito*: forse, il termine più appropriato per definire l'esperienza attraverso cui mi hanno guidato Alva noto e Sakamoto è 'percepito'.

La loro performance, infatti, non parla con i sensi degli spettatori nel modo in cui questi sono abituati ad usarli, ma comunica direttamente col loro subconscio: i suoni sono destrutturati a tal punto che anche senza capirli si riesce perfettamente a comprendere il messaggio che trasmettono, che è un messaggio puramente emozionale.



Non ci sono parole nella musica del duo nippotedesco, non c'è melodia e per la maggior parte del tempo non c'è neanche la musica, in effetti: ci sono solo i lampi di rumore bianco di Alva noto, connessi direttamente col nostro subconscio più profondo e, occasionalmente, degli accordi di pianoforte appoggiati con cura da Sakamoto sul tessuto sonoro del suo compagno per restituire all'insieme una dimensione umana e fare da contraltare all'valida perfezione delle macchine.

Nei rari momenti in cui la coscienza riaffiora dal pozzo senza fondo in cui siamo stati gettati, c'è modo di rendersi conto di quanto anche l'aspetto estetico sia curato alla perfezione in una performance in cui nulla è lasciato al caso: Sakamoto muove le mani sul pianoforte con l'eleganza misurata di un maestro Zen, senza mai muovere un muscolo di troppo, mentre Alva noto, granitico dietro il suo arsenale di macchinari da scienziato pazzo, sembra una via di mezzo tra Dolph Lundgren e il dottor Frankenstein.

E pensandoci (quando finalmente recuperiamo la facoltà di farlo), una delle tante figate di questo concerto è proprio la sua assoluta perfezione estetica, data dall'incontro tra due culture solo in apparenza lontane come quella quadrata e rocciosa del germanico e quella semplicemente sofisticata del nipponico: ci troviamo di fronte a un'opera d'arte dalla quale sono state progressivamente eliminate le parti superflue per lasciare solo l'essenziale, come noi ci siamo liberati di ogni giudizio cosciente per lasciarci toccare nel profondo dal messaggio dei due artisti, che come è ovvio che sia è assolutamente impossibile da rendere a parole qui ed ora ma che, vi assicuro, si recepisce forte e chiaro, quasi senza accorgersene, durante il concerto.

Senza parole e senza musica, Alva noto e Sakamoto ieri sera mi hanno detto molte più cose di un'infinità di cantautori schiavi dei limiti del linguaggio della musica "normale".

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