mercoledì 5 ottobre 2011

Simon Reynolds - Retromania

Simon Reynolds è invecchiato.

E' anche normale, capita a tutti di arrivare alle soglie della terza età (è del '63, è ormai pericolosamente vicino ai cinquanta), perdere ogni entusiasmo nel presente e trasformarsi nel solito vecchio barbogio che si lamenta che ai suoi tempi era tutto meglio, che non ce le avevamo mica tutte ste diavolerie tecnologiche che ti imbesuiscono e basta.

Certo, trattandosi dello storico musicale più importante degli ultimi anni dispiace un po', ma purtroppo è questo che gli è capitato: si è trasformato in un vecchio lamentoso.

Non si spiega in nessun altro modo il suo ultimo libro, Retromania, la cui pubblicazione è stata seguita da un tour promozionale (al quale ho partecipato pure io) che neanche le rockstar, segno secondo alcuni del fatto che nemmeno l'editore stesso credeva che il libro si sarebbe venduto da sè e ormai, a poche pagine dalla fine, posso capire il motivo: il libro, è, obiettivamente, brutto.


E' brutto per una buona serie di motivi: primo in ordine cronologico la premessa, spiegata in lungo e in largo e con una pletora di citazioni barboge nella prima parte del libro, secondo la quale i giovani d'oggi non sono più in grado di produrre musica nuova perchè tutte ste nuove tecnologie digitali li hanno rincoglioniti, perchè ai miei tempi quando dovevi farti il culo per trovare i dischi rari si che si stava bene, mica come adesso che su Youtube si trova tutto.

In buona sostanza quindi, secondo Simone, è in primo luogo colpa dell'abbondanza a cui ci hanno abituati le nuove tecnologie se ormai da quasi trent'anni non ci sono rivoluzioni musicali come il punk prima e la techno poi, perchè se i giovani d'oggi senza spina dorsale dovessero passare ancora le giornate a vaschettare nei mercatini di vinili usati in cerca di rarità, ufffffff, ci sarebbe una rivoluzione a settimana, guarda, te lo giuro, invece sti debosciati le rarità le cercano su youtube, che schifo, vuoi mettere, l'odore del vinile, la polvere, ma non lo senti come suona male da dio?

La cosa più buffa in assoluto, però, è che nella parte centrale del libro, la più corposa, Simone fa quello che sa fare meglio, ossia raccontare la storia della musica come gli è venuto da dio sia in "Post-punk" che in "Energy flash", allo scopo di provare la sua tesi appena esposta ma, rullo di tamburi....si contraddice.

La parte centrale del libro, infatti, è il classico lungo excursus "alla Simon Reynolds" sugli ultimi 40-50 anni di musica in cui ti dimostra in maniera assolutamente inequivocabile che lo sguardo rivolto al passato più che al futuro è un fenomeno che è praticamente sempre esistito, che le compilation di vecchi successi ci sono sempre state e che persino movimenti rivoluzionari come il punk nascono come rimasticazione di musiche passate; aggiungeremmo noi, come se no bastasse, che pure l'altra rivoluzione musicale del secolo scorso veniva descritta dal suo ideatore come "like George Clinton and Kraftwerk are stuck in an elevator with only a sequencer to keep them company", in funzione quindi di qualcosa di passato.

Insomma, una volta stabilito che non è colpa di Youtube o di Beatport se oggi ci sono dei giovani che ascoltano musica di generazioni precedenti perchè è sempre successo (persino a Simone stesso), di cos'è che Simone lamenta la mancanza oltre all'odore della polvere e al vinile che suona male da dio?

E' presto detto, nella terza e ultima parte del libro.

Ciò di cui Simone sente la mancanza è la tensione verso il futuro degli anni '60-'70, gli anni della space race in cui il 2001 sembrava un futuro remotissimo e fantascientifico, con le macchine volanti, le astronavi e un monolito gigante che non si capisce da dove cazzo sia arrivato, il futuro dei Jetsons e dei libri di Asimov, un futuro che rivisto oggi, con gli occhi di un futuro mille volte più fantascientifico, è quanto di più naif, pacchiano e demenziale si riesca a immaginare, ma siccome è quello dell'adolescenza di Simone allora è il migliore dei futuri possibili, al punto da pisciare su gente che di Futuro ci capisce qualcosina:

Sterling [...] ritiene che il concetto di "futuro" sia un vecchio paradigma e che presto cadrà in disuso assieme alla parola stessa. [...] Gibson [...] trovava "il vero XXI secolo più ricco, strano e variegato di quanto avrebbe potuto essere qualsiasi XXI secolo immaginario" [...] La fantascienza tradizionalmente intesa in quanto esercizio teoretico non è più necessaria: il futuro è arrivato, ci siamo dentro. Quello che serve è "un'indagine del nostro presente alieno". [...] La prospettiva di Gibson è talmente diversa dalla mia da lasciarmi allibito. Quando attraverso il paesaggio urbano-suburbano dell'America o della Gran Bretagna, l'impressione è che negli ultimi trent'anni non sia cambiato quasi nulla.
In sostanza, la sci-fi classica ha clamorosamente toppato (almeno, nella stragrande maggioranza dei casi) a prevedere il futuro e il povero Simone ci è rimasto male, perchè il futuro non è come se l'aspettava e non è in grado di starci al passo, al punto che, ulteriore contraddizione, gli sembra che non sia cambiato niente: ma come, Simone, l'hai menata per tutta l'introduzione che i giovani d'oggi non sono più come i giovani dei tuoi tempi, che non hanno più la spinta del futuro, poi però no forse sono uguali, poi però è la società che è uguale perchè non ci sono le macchine volanti e il cibo in pillole?

Beh dai, almeno li porto bene, ne dimostro almeno dieci di meno
Insomma, quando c'è da fare il lavoro di analisi di raccontare la storia di un periodo musicale Simone lo vedi che è proprio a suo agio, che è effettivamente il migliore del mondo perchè ti fa rivivere il periodo come se ci fossi passato veramente, ma quando c'è da fare la sintesi, da ricavare concetti generali per poi guardare al futuro, lui per primo è scarsissimo, perchè ha un'idea di "guardare al futuro" che si è rivelata clamorosamente fallimentare, e alla luce di questo capisco perchè, quando alla presentazione del libro gli ho chiesto "si ok, c'è sta storia della retromania che rincoglionisce i giovani d'oggi, e allora what next, dove andrà la musica dopo questo?" lui non mi ha saputo rispondere: per il semplice motivo che la più grande vittima della Retromania e dello sguardo costantemente rivolto al passato è proprio lui, invecchiato e incapace di cogliere il futuro che in nuce vive già nel presente.

10 commenti:

Trainspotter ha detto...

Reynolds ha ragione: la ricerca musicale può dar vita a rivoluzioni inaspettate. Non è di per sé un male rivolgere l'orecchio al passato. L'importante è non restarne prigionieri, svilendo le proprie idee e piegando le proprie convinzioni artistiche.

In ogni caso... sempre meglio spaccarsi la schiena tra polverosi vinili - con un sound ineguagliabile per un mp3 scaricato - da cui trarre informazioni, spunti, anziché perder tempo ingannando se stessi tra centinaia di migliaia di cartelle virtuali all'interno di un computer di cui, un domani, non ci si ricorderà nulla. Il vinile è arte. Tangibile. E da assorbire attraverso tutti i nostri sensi...

Raibaz ha detto...

Ero di quest'idea anch'io, fino a non troppo tempo fa.

Poi mi sono ricordato che ho tipo 30 anni meno di Simon Reynolds e preferisco rivolgere lo sguardo al futuro piuttosto che lamentarmi di com'era meglio il passato :)

Trainspotter ha detto...

Di anni ne ho 27 e sono interessato al futuro come te. Eppure, da collezionista accanito, ho imparato a conoscere il passato attraverso quello che ritengo il mezzo artistico/culturale per eccellenza: il disco, vinile o almeno cd che sia. La musica digitale non ha qualità, storia. Non la si può toccare, annusare, curare. Farà sempre meno parte di te... fino all'oblio più totale.

Meglio uno scaffale pieno di dischi - assorbiti al meglio dall'orecchio - da consultare e da osservare o un hard-disk zeppo di files scaricati alla buona senza né capo né coda? Perché rinunciare alla bellezza di una copertina (magari, d'autore) cartonata? Perché "consumare" (ed in parte rubare) musica solo per passatempo votato al risparmio?

Raibaz ha detto...

Collezionisticamente capisco il tuo discorso, ma dopo mesi di passaggio al digital djing e un bel po' di euro risparmiati, riguardando il mio scaffale con un buon paio di migliaia di vinili e qualche centinaio di cd, mi (e ti) chiedo: quanti di questi valevano veramente la spesa?

Per ogni limited edition veramente figa, con una copertina decente e magari qualche extra interessante a livello di packaging o gadgettistica assortita ho almeno (volendo essere MOLTO ottimisti) una decina di ep da 7 euro per 3 tracce di cui due brutte, con la copertina nera, 7 euro dei quali al produttore, se va di lusso, arriveranno 10 centesimi perchè il restante se ne va in costi di stampa e distribuzione, mentre se avessi comprato l'unica traccia buona in digitale all'artista sarebbe arrivato quasi interamente l'euro speso per l'acquisto digitale.

Il modello di business dell'acquisto dell'oggetto fisico musicale è morto e sepolto, nessun artista campa più vendendo dischi ma l'unica fonte di reddito per i musicisti sono i concerti e le limited edition da centinaia di euro per i nerd come me.

Capisco, in parte, la necessità del rapporto tattile con la musica perchè è una necessità che avevo anche io fino a qualche tempo fa, ma ora ho capito che siccome la musica si ascolta con le orecchie e non coi polpastrelli sentir dire che la musica digitale è inferiore perchè non la puoi toccare mi fa lo stesso effetto che sentir dire che la Treccani è superiore a Wikipedia per via dell'odore della carta.

Peraltro, da quando non ho più bisogno di portarmi in giro quintalate di cd cassette e ammennicoli vari per sentire la musica ovunque sia (non parliamo neanche dell'idea di ascoltare vinili in mobilità, ovviamente), la musica fa parte di me MOLTO di più.

La risposta alla tua domanda, quindi, è "meglio la musica che può far parte di me sempre e comunque, non quella destinata a prendere polvere sugli scaffali".

Trainspotter ha detto...

Mi piace la piega che ha preso la nostra discussione.

Ho cominciato a comprare dischi quando avevo 14 anni. E pochissime lire in tasca. Non potevo permettermi chissà cosa, magari qualche cd singolo, e così aspettai Natale per riuscire a metter le mani sul tanto agognato The Fat Of The Land (alla stregua di una Bibbia per me) dei Prodigy, di cui conoscevo già tutto... ma una musicassetta registrata alla buona da un amico non valeva il suono di un cd. E, forse, è questo un ennesimo punto su cui riflettere: la qualità. Può mai un mp3 "suonare caldo" come un vinile?

Ora, tornando al mio passato... da ragazzino non avevo altra possibilità che scegliere bene ciò che più desiderassi ascoltare, altrimenti la pena si sarebbe concretizzata in un album, francamente, inutile e lasciato poi ad ammuffire sullo scaffale (quando era vuoto in anni di vacche magrissime, se non terzo-mondiste). Il che significava dover valutare con attenzione se effettuare questo o quel acquisto e potendo contare su un'informazione nettamente limitata rispetto ad oggi. Internet era agli esordi e poco diffusa: a casa sarebbe arrivata due anni dopo. Le stazioni radio trasmettevano e trasmettono soltanto la solita solfa (il tempo non scalfisce certe consolidate situazioni): difficile poter compiere una propria evoluzione sonora con l'eurodance e gli irrimediabili fenomeni global-pop di quel momento. Una propositiva MTV (ancora non del tutto italiana ed in parte in formato euro-londinese), forse, era un potenziale mezzo per soddisfare la mia curiosità ed offrirmi spunti a partire dai videoclips. Eppure, avevo idee abbastanza chiare: non fu difficile scovare Homework dei Daft Punk, Beaucoup Fish degli Underworld, Mezzanine dei Massive Attack, Dig Your Own Hole dei Chemical Brothers, You'Ve Come A Long Way, Baby di Fatboy Slim, Big Calm dei Morcheeba, Sunday 8 A.M. dei Faithless, Ultra dei Depeche Mode, Psyence Fiction degli U.N.K.L.E., il DJ-Kicks di Kruder e Dorfmeister,Windowlicker di Aphex Twin, passando per Innovator di Derrick May, Artifakts di Plastikman, più le prime compilation Global Underground e farne tesoro e punto di partenza per una visione molto più ampia e sfaccettata della musica elettronica.

Trainspotter ha detto...

A posteriori, si potrebbe giungere alla conclusione che, specialmente, l'elettronica made in Britain anni '90 (a cominciare dal trip-hop, tra post-rave, electro-punk, Warp Sound e per finire nel big beat) sia stata in particolar modo florida e generosa, offrendo(mi) notevoli e numerosi momenti di alto livello. Tra tanti acclamati dischi, ritenuti oggi piccoli-medi-grandi capolavori, scegliere è stato facile, no? Comprare a scatola del tutto o quasi chiusa un disco era un azzardo niente male. Nella migliore delle ipotesi, si poteva scorgere la potenzialità di uno o più singoli estratti: altro che iTunes, SoundCloud, YouTube, motori di ricerca, mp3 in streaming, downloading e via dicendo! La scelta andava ponderata al 100%. Nel portafoglio, quarantamila lire pesavano e privarsene non era un che di piacevole. Per metterle insieme era occorsa pazienza e qualche settimana, oltre che un sano risparmiare. E da qui spero tu possa comprendere come, arrivando ai giorni nostri, non mi sono quasi mai pentito di ciò che mi circonda (sempre di più) all'interno della mia stanza.

Oggi, è diverso: tutto è a portata di un click. Ciò non significa che abbia smesso di far ricerca, anzi! Internet mi ha aperto talmente tante di quelle porte su variegati corridoi (nu-disco, cosmic, kraut, balearic, drone, ambient, experimental, field recordings…) che, probabilmente, non sono ancora giunto alla (presunta o tale) fine (sempre che ne esista una!) di ognuno di questi. E, oltretutto, mi ha offerto sapienti mezzi - I love PayPal - che mi hanno permesso di far spesa tanto in Germania, quanto negli Stati Uniti, in Francia o in Giappone. In un istante. Altro che negozietto fuori scuola! Limited or not limited edition, mi rende felice avere qualcosa tra le mani e poter compiere una piccola "cerimonia" d'ascolto, ritagliandomi un momento tutto mio, a tratti esoterico se non solo mentale o carnale in differente misura. Un po' come far bollire il thé in un vecchio pentolino, aspettare il fischio, preparare le tazzine di porcellana, la zuccheriera e gli argentei cucchiaini! Non mi piace ascoltare musica ovunque. Ho un lettore mp3 che uso regolarmente quando sono per strada, fuori casa. Ho pure digitalizzato il mio archivio discografico in modo da non perdermi niente e tenere tutto sotto controllo, ma preferisco di gran lunga ricorrere ad un lettore cd, al giradischi, attivando un bell'impianto per la MIA musica… che un domani sarà traccia di me. Tangibile. E per ogni copertina, non necessariamente d'autore, potrò associare e destinare uno o più ricordi. Indelebili.

Trainspotter ha detto...

Mi sembra comunque normale che per un dj di fama trasportarsi un armamentario da un capo all'altro del mondo sia una gran seccatura con noiosi contrattempi e grattacapi (bagagli volatilizzabili tra un aeroporto e l'altro) e che per un artista - salvo inequivocabili dinosauri e fenomeni discografici - sia estremamente arduo poter sopravvivere vendendo dischi. E il modello di business dell'oggetto fisico è parecchio decaduto. Perché, allora, a distanza, di una quarantina di anni il vinile è sopravvissuto a tutto ciò che l'industria discografica gli abbia frapposto come novità del momento (leggi musicassetta, cd, mini-disc, cd ibrido, dvd audio, pen-drive) pur di incrementare il volume delle vendite? Il vinile è un oggetto di culto. In tutto e per tutto. Laddove Wikipedia è un sapere libero e quello della Treccani conformistico, ma ben più autorevole, certificato e tutelato. Scripta manent. Semper! Sicut vinilae.

Risparmiare sui dischi è come risparmiare sui propri alimenti. Una volta che sai come ottenere, raggiungere ed assaggiare il caviale, la frittura di paranza la mangerai molto di rado.

Raibaz ha detto...

(scusa il ritardo)

Capisco perfettamente il tuo discorso, soprattutto perchè siamo praticamente coetanei - io ho 28 anni - e abbiamo fatto praticamente lo stesso percorso: ricordo quando Albertino mi ha fatto scoprire Homework prima e i Prodigy poi, ricordo l'enorme azzardo di comprare un doppio cd a un sacco di soldi solo perchè i nomi della tracklist sembravano interessanti per poi scoprire che era un Global Underground e comprarmi quasi tutta la serie, ricordo di aver supplicato un'amica di mia madre in viaggio a Londra di portarmi "Exit planet dust" dei Chems, ricordo un doppio cd comprato, sempre per caso, in gita a Dublino che mi ha fatto scoprire la trance di fine anni '90.

Ricordo anche, però, che sono almeno altrettanti, se non di più, gli artisti che ho scoperto grazie alla rete: se non fossi stato un assiduo frequentatore di community musicali attualmente non conoscerei quasi niente di quello che ascolto ora e che ho ascoltato negli ultimi 5-6-7 anni, da Carola a Villalobos, dai Pendulum ai Soul clap (e non sarei neanche fidanzato, ma questa è un'altra storia :)).

Capisco anche perfettamente, e per certi versi la condivido, la tua idea del rituale che completa l'ascolto musicale rendendolo un'esperienza nettamente superiore rispetto all'ascolto "casuale", ma credo che un'idea simile sia propria solo di una generazione come la nostra che ha vissuto in prima persona la rivoluzione tecnologica degli ultimi anni, e all'interno della nostra generazione solo di una nicchia ristretta di persone che prestano attenzione a quello che ascoltano.

Per le generazioni attuali, in realtà, la dici giusta tu, "il modello di business dell'oggetto fisico è parecchio decaduto", anzi azzarderei quasi che è definitivamente morto: gli artefatti culturali (non solo la musica ma anche i film e i libri) si sono definitivamente liberati dal legame esclusivo con l'oggetto fisico e il modello di business è ora molto più legato all'esperienza di ascolto/visione/lettura, che è diventata customizzabile in modo da soddisfare non solo chi ha bisogno del rapporto tattile con l'oggetto fisico ma anche chi (la maggioranza) vuole l'esperienza più "rapida e indolore" possibile perchè non ha la musica al centro dei propri pensieri.

Il vinile non è (ancora) morto, attualmente siamo in una situazione in cui tutti i gusti sono in grado di essere soddisfatti, e per me questo è tutt'altro che negativo, sia perchè la musica può arrivare a più persone possibili anzichè solo a chi ha le risorse fisiche e mentali di gestire l'oggetto fisico, sia perchè anche "noi" siamo liberi dal vincolo di dover comprare/archiviare/gestire/cercare/quant'altro oggetti fisici ingombranti e obsolescenti per musica che non lo meriterebbe sempre, anche se possiamo scegliere di farlo per la musica che lo merita (e la mia limited edition di "Invaders must die" lo testimonia :))

Trainspotter ha detto...

Della serie Global Underground mi manca solo Melbourne #022 mixato da Dave Seaman: non immagini quanto rodo. Prima o poi, grazie a qualche simpatico sito riuscirò a colmare questa lacuna nella mia bacheca discografica. Il punto è che Internet mi ha dato e mi da ogni giorni conoscenze e spunti, soddisfa le mie curiosità, facendo sì che sappia indirizzarmi all'interno di un mercato che offre molto per chi ha voglia di spendere. Insomma, se tornassi indietro nel tempo rifarei certe scelte ma, probabilmente, ne farei anche altre. Ciò che trovo fondamentale è la possibilità di ascoltare qualcosa in anteprima o, magari, guardare un video. Ecco. Ben più della metà dei dischi che mi circondano sono stati scoperti o scandagliati grazie alla rete. Se in passato dovevo necessariamente frequentare i negozi, confrontarmi con chiunque per ottenere info, oggi è tutto più facile. A portata di un click. Laddove le community musicali non mi hanno mai dato quel qualcosa in più e potendo far ricorso sulla conoscenza dell'inglese, del francese e del tedesco, ho sempre preferito andare a leggere recensioni.

Alla fine della fiera, io e te - come tanti altri nostri coetanei - siamo e saremo ancora per un bel po' una sorta di razza bastarda. Figli degli '80, cresciuti nei '90 e maturati nei primi '00. Sai qual è il problema? La mia prima e-mail l'ho scritta quando avevo quasi sedici anni. Per la contemporaneità, è un autentico assurdo… laddove un bambino di sei anni maneggia già un iPad senza batter ciglio. Ciò fa sì che la tecnologia l'ho abbracciata poco a poco, se non tardi e vivendo lentamente il distacco definitivo dalla musicassetta al cd e il fenomeno-mp3. L'impatto di quest'ultimo sul mondo, ed in particolare sulle nuove generazioni, è stato debordante e decisivo nel renderle disorientate, modaiole e disinteressate ad un certo approccio musicale, oltre che ad una certa fruizione musicale. Viviamo in un'era frettolosa ed istantanea. Per certi versi, votata al risparmio. E ad un minimalismo di fondo. Pensare che in ogni famiglia si collezionavano dischi e li si facevano magicamente girare su un piatto può sembrare un'autentica eresia per un teenager.

Gli "artefatti culturali" costituiscono un settore in aperta crisi. Il libro resiste più del cd (figuriamoci il vinile!). Il dvd vivacchia a seconda dei periodi, delle offerte e, non stranamente, il videogioco vende. Continuo a chiedermi il perché: soprattutto se, economicamente, i prezzi di listino sono i più alti fra tutte le categorie menzionate! Perché sì FIFA 2012 e no la ristampa di The Greatest Dancer di Robert Hood su M-Plant? Perché, poi, spendere una vagonata di € per presenziare a vari concerti quando, invece, un'esperienza sonora casalinga - non ipoteticamente riproducibile all'infinito - potrebbe appagare il proprio orecchio ed il proprio animo molto di più? Un impianto come si deve può rivaleggiare con il peggiore da bar dove, tra l'altro, la qualità di una potenziale selezione è deprimente e bassa come non mai.

Trainspotter ha detto...

Detto ciò, concludo andando controcorrente: per chi è appassionato di nuovi suoni (in fondo, vale in parte anche per i vecchi), meglio che questi restino all'interno della nicchia. Benedetta! Altrimenti rischiano di divenire soggetti da commercializzare quanto prima, specie se in grado di sostituirne altri ormai decaduti. E se l'industria discografica ha leggermente ripreso a stampare e distribuire il vinile, comprendendo che il vero fan - non un poser - è disposto all'artista preferito anche con un mezzo differente da quelli purtroppo divenuti classici (pur avendo il Mac, odio iTunes)… allora questa è la strada da seguire. Solo edizioni limitate. Numerate. Per pochi. Fortunati. Da qui riparte il gran carrozzone, caro Raibaz. Appuntamento tra dieci anni quando più o meno tutti saranno stanchi di scaricare musica per riempire un lettore mp3 od un hard-disk esterno e vorranno un tangibile pezzetto di memoria da conservare all'interno di uno scaffale… ma dei dischi fisici - in qualunque formato - non ci sarà quasi più traccia, perché appannaggio dei soli collezionisti, determinanti pure un pericoloso rialzo dei prezzi. Cioè, se hai l'opportunità di acquistare un disco nel breve periodo, fallo. Domani potrebbe essere un cimelio, un oggetto di un nuovo vecchio (o viceversa?) culto.

P.S. Nel riferirmi a Robert Hood, ho esagerato. Non è per tutti. Ed anche se sfacciatamente una trovata commerciale, una ristampa rimasterizzata dei Pink Floyd potrebbe andar bene. Buona musica per le masse. L'importante è che non rimanga fine a se stessa e possa costituire il trampolino per ascolti più complessi e vari.