giovedì 10 febbraio 2011

Aril Brikha - Deeparture in time revisited

Aril Brikha è uno dei miei artisti preferiti di sempre, quindi questa recensione sarà tutto tranne che imparziale.

"Deeparture in time" è il titolo del suo primo album, pubblicato sulla Transmat di Derrick May (mica la Gino Salamella records) nel 2000 e già all'epoca molto valido, con la sua deep techno raffinata e la sua megahit, "Groove la chord", che a detta di molti ha contribuito a riportare la linea di confine tra techno e house nel suo stato di assoluta indefinizione dopo anni in cui la divisione era diventata sempre più netta.



Sono passati più di 10 anni dalla prima pubblicazione dell'album, divenuto ormai introvabile e venduto a più di 50 dollari sui vari Discogs, Ebay e simili, e forte anche del ritorno prepotentissimo di moda del termine "deep", al punto che ormai chiunque faccia qualcosa la deve fare "deep" (mi aspetto un'ondata di "deep commerciale" l'anno prossimo), il produttore iranianosvedese decide di ripubblicarlo, aggiungendoci come bonus un secondo cd di materiale prodotto negli anni '90 e precedentemente unreleased.


"Wow, un album di roba vecchia di più di 10 anni uscita adesso, chissà chemmerda".

E invece no, perchè come tutta la grande Techno con la T maiuscola le tracce di Aril Brikha non hanno età e anche dopo dieci-quindici anni dalla loro prima pubblicazione suonano meglio di tantissima roba "mordi-e-fuggi" prodotta più di recente per avere successo immediato e finire nel dimenticatoio subito dopo.

Insomma, sentire (o risentire) le prime tracce di Aril Brikha oggi vale sia come lezione di storia della techno che, soprattutto, come una grandissima esperienza d'ascolto in sè per sè: tracce come "Setting sun", "Embrace" o "Artoo", se venissero pubblicate oggi da un produttore emergente, farebbero gridare al fenomeno o al capolavoro, per non parlare della stessa "Groove la chord", copiata spudoratamente da un produttore comunque validissimo come Shlomi Aber non più di un paio d'anni fa.

La Techno di Aril Brikha è quel genere di suono che adoro da sempre, in cui ogni pad, ogni accordo, ogni linea di basso e ogni pattern di percussioni è studiato accuratamente per incastrarsi alla perfezione con tutto il resto e dare alla stesura delle tracce un'evoluzione graduale ma inarrestabile, che riesce a dare all'ascoltatore la sensazione incredibile che la traccia non cambi mai ma che invece stia sempre cambiando incessantemente.

Questa, per me, è IDM vera, in cui la I sta per "intelligent" e non per "intellectualoid".

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