lunedì 18 giugno 2012

Sonar 2012, parte II: pop e canzoni

Venerdì, primo giorno con anche il Sonar de noche e, soprattutto, giorno dell'attesissimo live di John Talabot; il primo giorno è stato così ricco di piacevoli sorprese che sarà difficile ripeterlo, ma siamo al Sonar, mica alla sagra del bue muschiato di Pizzighettone, per cui tutto è possibile.

Il live degli Esperanza alle 13.30 è un delitto gravissimo, visto che avendolo già sentito so quanto vale e metterlo ad un orario del genere significa che in molti, me compreso, se lo perderanno: ad ogni modo, Damir ci è stato e pare che abbiano riscosso un ottimo successo, cosa che non può che farmi piacere perchè i ragazzi lo meritano eccome.


Il primo artista interessante che voglio vedere è Trevor Jackson, anche perchè proprio a pranzo ho letto un'intervista in cui se la sboroneggia di gran carriera dicendo "i dischi che mi sono portato per il Sonar non ce li ha nessun altro" e devo dire che, dopo una decina di minuti di Psilosamples che gli valgono un'intenzione di ascolto più approfondito, il signor Playgroup ha sboroneggiato a buon diritto.

Set della madonna il suo, che centra con la precisione di un cecchino il mood da quattro di pomeriggio di venerdì, con la cassa lentona e i pad lunghissimi, da "beviamoci una due tre quattro cinque sei birrette sul prato sintetico e cazzeggiamo amabilmente", come solo i dj di grandissima esperienza sanno fare.

Completamente opposto, invece, è il set di Nightwave nel tendone del SonarDome: la ragazza è giovane ed evidentemente non ha il carico enorme di autorevolezza del suo collega, ma si difende piuttosto bene lo stesso, cambiando all'incirca un disco al minuto e spostandosi molto agevolmente dalla house alla techno alla bass music, tra dischi stranoti e meno noti, tirando in mezzo a dovere tutti gli astanti noi compresi, che eravamo partiti con la classica idea di svaccamento sulla moquette e tempo neanche 10 minuti stiamo ballicchiando di gusto.


Finita la signorina, tocca di nuovo a Flying Lotus: in un mondo normale mi allontanerei più possibile vista anche la noia del set di ieri, ma mi lascio convincere che oggi farà un set completamente diverso e rifaccio l'errore di dargli una chance: nemmeno oggi resisto più di dieci minuti, anche perchè la musica è esattamente la stessa, orribile, di ieri.

Da qui alle 20 non c'è nulla di rilevante (ci sarebbe Daniel Miller, il signor Mute records, alle 18, ma l'ho già sentito all'Amsterdam dance event e so che suona dell'orrida technaccia senz'anima, per cui posso farne a meno), quindi pausa-tapa e ritorno al MACBA appena in tempo per riuscire ad entrare al SonarHall, la cui capacità limitata si esaurisce subito dopo il nostro ingresso, tant'è che alcuni miei amici rimangono fuori e si perdono un live strepitoso, degno di un album che se non ci fosse stato TEED sarebbe l'album dell'anno.

Paddoni goduriosissimi, cassa lenta e spezzettata, atmosfere baleariche e il cantato di Pional che affianca il buon Oriol sono le componenti di un live assolutamente all'altezza delle aspettative e dell'hype, e infatti la platea risponde con molta soddisfazione, rapita dal mood estivo e sognante di ƒin che forse avrebbe reso al meglio all'aperto nel pratone gigante anzichè nella sala sotterranea troppo piccola per contenere tutti quelli che volevano assistere: molti sono rimasti fuori, quelli dentro erano schiacciatissimi ma ce lo siamo veramente gustato, è una delle meglio cose del weekend e dell'anno.


La vera beffa dei miei amici che non sono riuscti a vedere il live di John Talabot, però, è che sono stati costretti a subire l'atroce tortura di quello di Nina Kravitz: io non l'ho visto, ma da come me l'hanno raccontato dev'esser stato roba che te ne vai dicendo "beh, almeno è figa", ed è l'unico valore contenuto in un'ora di live che non passa mai.

Quando a un festival c'è così tanta roba e in posti diversi, è inevitabile perdersi qualcosa, per cui la fine del live di Oriol alle 21 e qualcosa e l'inizio di quello di Amon Tobin alle 23 in un posto a mezz'ora di taxi mal si conciliano, ma soffro poco visto che tanto quest'ultimo non è proprio il mio genere, per cui faccio a tempo a fare una doccia, mangiare qualcosa e arrivare alla fiera in tempo per sentire la fine del set di James Blake, molto bello ma davvero troppo vuoto e rarefatto per un pubblico da festival (avesse fatto lo stesso set un artista con metà dell'hype, avrebbe preso i pomodori, e ne ho avuto una mezza testimonianza il giorno dopo, ma questa è un'altra storia) e per vedere tutto il live di un gruppo da cui mi aspettavo grandi cose, i Friendly fires.

L'album mi è piaciuto un sacco, ed ero molto ansioso di vederli dal vivo per capire se davvero questa via poppeggiante fatta di ghitarra-basso-batteria-cantante oltre ai synth sia una strada percorribile per il futuro dell'elettronica, e la risposta è un convintissimo "sì": alla fine del concerto ero quasi completamente senza voce dopo aver cantato "Hurting", "Blue cassette", "Hawaiian air" e "Live those days tonight", e i ragazzi erano pezzati come se avessero corso due o tre maratone.


Sudore, ghitarre, synthoni e un sacco di cantato: non è solo il solito festival elettronico con i dj del momento che suonano le hit dell'anno, il Sonar è il festival del pop di dopodomani e dopodomani i Friendly fires potrebbero dire la loro, con la loro abilità di essere contemporaneamente catchy e interessanti, retromaniaci e pieni di riferimenti orientati a un pubblico più maturo e attento (vedi il video qui sopra) ma contemporaneamente orecchiabili per gli ascoltatori "casuali".

Finito il loro live, c'è un breve momento di stanca: il ciccione della DFA non mi entusiasma, la fine del set di Annie Mac e l'inizio di quello dei Simian Mobile Disco interessanti ma nulla di esagerato (soprattutto i secondi, comunque, pensavo molto peggio), Richie Hawtin sentito cinque minuti pare fare esattamente lo stesso set del 2006, con uno spettro sonoro che varia dai due suoni ai tre nei momenti di massima intensità, per cui visto che le priorità sono il giorno successivo decidiamo di perderci cose interessanti come Fatboy slim, di cui ero molto curioso, Brodinski & Gesaffelstein e la chiusura di Jacques Lu Cont: non si può fisicamente sentire tutto, bisogna sempre fare delle rinunce dolorose, e domani ci aspetta una giornata molto intensa, per cui nanna, anche se molto molto molto soddisfatti.

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