mercoledì 20 giugno 2012

Sonar 2012, parte III: conclusione

Terzo ed ultimo giorno in terra catalana: il tema portante dell'intero festival ormai inizia a delinearsi, e oggi verrà solo ribadito.

Anche oggi la giornata parte molto lentamente, con un po' di cazzeggio e di passeggiamento in giro per Barcelona, chè anche se ormai siamo al quarto viaggio nella città blaugrana e tutte le cose dei turisti le abbiamo già fatte comunque c'è sempre qualcosa di interessante da scoprire e un girettino di shopping da vero metrosexual ci sta tutto per evitare di fare quelli che arrivano, vedono solo il posto del festival e se ne vanno.

Morale, arriviamo al MACBA verso le 17 e qualcosa; ci sarebbe il live di Nicolas Jaar col ghitarrista, ma un po' perchè lui non mi fa impazzire e un po' perchè i miei amici vogliono a tutti i costi sentire un a me sconosciuto Jesse Boykins III ci dirigiamo verso il tendone del SonarDome, e devo dire che fidarsi degli amici è stata un'ottima idea: Jesse è praticamente una sorta di Marvin Gaye in salsa Rush Hour, e il suo live, purtroppo molto corto, trasuda una quantità di amore e di sudore sconfinata.


Quarantacinque minuti scarsi di soul e rnb cantati su basi a cavallo tra la house oldschool alla Theo Parrish e il post-dubstep più deeposo, quarantacinque minuti in cui limonare durissimo e amarsi come se non ci fosse un domani: promosso a pieni voti.

Dopo di lui, è la volta di XXXY, che mi sono perso alla chiusura del Tunnel e a cui decido di dare una chance, anche perchè in quel preciso momento non ci sono moltissime alternative, ma tempo due-tre dischi e mi ha già rapito: altri lo hanno definito paraculo, e in effetti forse un po' lo è, a suonare "Arp3" di Floating points e soprattutto "Promised land" di Joe Smooth, ma secondo me la verità è che è un gran trascinatore e ha perfettamente chiaro che per fomentare un dancefloor basta tutto sommato poco.


E' vero, siamo a un festival di musica avançada in cui suonano anche personaggi di grosso spessore intellettuale come Amon Tobin o Alva Noto, ma riuscire a tenere perfettamente in mano la pista per un'ora e mezza come ha fatto lui, e come credo avrebbe fatto anche senza quel paio di dischi un po' nazionalpopolari, è tutt'altro che semplice: il buon inglesotto ha dimostrato di essere un dj coi controcazzi, spaziando adeguatamente tra la house un po' più movimentata e techneggiante e la parte più dancefloor-oriented della bass music, dimostrando, se ce ne fosse del bisogno, che anche avere la sensibilità necessaria a fare un set così danzabile è segno di musica avanzata.

Finito XXXY in teoria dovremmo iniziare a raccattare armi e bagagli e trasferirci alla fiera in tempo per i 2 bears alle 22, ma un po' la pigrizia un po' gli LA vampires ci fanno desistere e rallentare pesantemente il ritmo: il live degli americani è infatti moooolto lento, ma di quel lento piacevole e sexy, che sentito seduti sulla moquette mangiando un bocadillo di plastica e sorseggiando una cerveza mentre il tramonto si appropinqua diventa un'esperienza di rara goduria.


Assolutamente da risentire e da approfondire, tanto ormai la quantità di gente che devo approfondire dopo questo Sonar è tale che finirò tipo nel 2080.

Dopo di loro il loro socio di etichetta Ital, che si presenta cantando a cappella la prima strofa di "The rhythm of the night" di Corona guadagnandosi così il titolo di momento più WTF dell'intero weekend e che prosegue accumulando samples su samples ed effetti su effetti senza troppa logica: probabilmente su disco è molto piacevole, visto che i suoni tutto sommato mi parevano esserci, ma live è abbastanza deludente, per cui casa, doccia e ormai, visto che tanto per vedere i New Order alle 23 dovremmo fare delle corse esagerate, cena tranquilla, in modo da arrivare alla fiera per l'una e mezza.

All'unemmezza, infatti, c'è il live degli Azari & III, uno dei miei personali most wanted del weekend: purtroppo l'affollamento non ci ha consentito di vederlo da abbastanza vicino, per cui più che altro l'abbiamo sentito, ma chi l'ha visto lo descrive come una delle cose più gay degli ultimi 150 anni, e non stento a crederci.

I quattro canadesi, infatti, sanno di strusciamenti tra barbe sudate già su disco, e live trasportano pari pari quello che fanno su plastica nera (o su mp3, ormai, digiamogelo): chord di fronte ai quali è impossibile restare fermi e vocal che ti entrano immediatamente in testa, di quelli che al secondo ritornello sei già in grado di cantare pure tu a squarciagola, anche se ovviamente il pubblico knowledgeable del Sonar conosceva già tutte le canzoni a memoria, e in sostanza un tiro pop davvero allucinante, tipo che se ci fosse ancora il Festivalbar questi si mangerebbero chiunque altro in un solo boccone, e lo dico come cosa estremamente positiva.


Finiti i quattro Azari è la volta di Cooly G, su cui ho delle buone aspettative dopo aver visto un suo splendido set alla Boiler room, ma che purtroppo è una delle più grosse delusioni del weekend, col suo fiacchissimo karaoke senza un colpo di cassa e senza alcun mordente a cui assistiamo sì e no in tre: faticosamente resisto per tutti i quaranta minuti di live sperando che succeda qualcosa che invece non succede, e vado a riposare per un po' le mie stanche membra all'autoscontro, autentico tripudio della parte di pubblico più squagliata e cazzeggiona che rischia la vita ogni cinque minuti rotolandosi per terra in mezzo alla pista con le macchinine che gli sfrecciano attorno - è sempre divertente da vedere.

Tra una cosa e l'altra si sono fatte le quattro e un quarto, e tra un quarto d'ora dovrebbe iniziare la chiusura ad opera del miglior dj del mondo, per cui ci dirigiamo nello spazione aperto del SonarPub per tempo in modo da guadagnare dei posti decenti sugli spalti, non sapendo il dramma che ci aspetta.

Idealmente e da lineup, infatti, dovremmo sorbirci solo un quarto d'ora dell'orripilante live dei Modeselektor, invece i due tamarri decidono di andare lunghi e finire alle cinque: i tre quarti d'ora peggiori del weekend, se non dell'intero duemiladodici o forse addirittura della mia esperienza di clubbing.


Il live dei Modeselektor è fondamentalmente il fratello più tamarro e più incazzato di un live di Vitalic di dieci anni fa, tra segherie, sirene, cori da stadio e bottiglie di champagne spruzzate sulle prime file in nome dell'ignoranza più becera, roba che di colpo tutti quelli che mi erano sembrati un po' più scontati nei giorni passati, tipo Nightwave o a tratti XXXY, diventano intellettuali iscritti al MENSA.


Non credo davvero che esistano parole per definire la bruttezza di un live che viene osannato come innovativo perchè ha un colpo di cassa spostato ogni tanto ma che in realtà è tipo un melange di tutto quanto è stato fatto di ignorante e greve negli ultimi vent'anni di musica elettronica, con in più nemmeno l'attitudine cazzona che hanno altri tamarri tipo Steve Aoki o lo stesso Skrillex: questi ci credono davvero, pensano di essere gran musicisti e gran intellettuali con le sirene da stadio.


Orèndi.


D'altronde, è vero anche che per arrivare al paradiso bisogna soffrire, e il patimento estremo sofferto nei tre quarti d'ora precedenti il set di Garnier credo valga come martirio, visto che poi Lorenzo ci porta direttamente nell'alto dei cieli.


Non credo ci sia bisogno di raccontare in dettaglio come funzioni il suo nuovo progetto LBS, anche perchè ne ho già scritto varie volte, vi racconto solo che stavolta, anche senza Benjamin Rippert, vedere Lorenzo fare il suo "solito" (si fa per dire) show su un palco gigantesco, con le prime luci dell'alba, in mezzo alle migliaia di persone del pubblico del Sonar equamente divise tra squagliati, personaggi da circo e nerd musicali è un'esperienza che ha del mistico e dell'ultraterreno.




Purtroppo non riusciamo a fare chiusura fino in fondo perchè abbiamo l'aereo troppo presto, ma restiamo lo stesso fino alle sei e qualcosa, ammaliati dalla meraviglia che Lorenzo è in grado di mettere in piedi anche senza un terzo della formazione (Benjamin Rippert, assente ingiustificato) e con la stanchezza di tre giorni faticosi spazzata via istantaneamente, dopodichè a malincuore lasciamo la fiera e, poco dopo, la Catalogna per tornare in patria con un sacco di musica nuova da ascoltare e con l'idea che ormai, a conti fatti, l'idea di "musica elettronica" sia morta.


Pensare all'elettronica come un genere di nicchia separato dagli altri, infatti, ormai non ha più senso: la linea di confine tra l'elettronica underground e il pop mainstream da classifica oggi è sottile come forse mai era successo, e molti artisti sono in grado di scavalcarla in entrambe le direzioni a proprio piacimento, rendendo di fatto la musica elettronica LA Musica dei nostri giorni, anzichè solo una delle tante musiche possibili.


Sarà per via della crisi che costringe gli artisti di nicchia a rivolgersi a un pubblico più ampio, o per via del fatto che molti di loro ormai hanno alle spalle carriere più che decennali e quindi ormai sono artisticamente maturi, fatto sta che in molti di quelli sentiti durante questi tre giorni mi sono sembrati ormai pronti a dominare il mercato mainstream (che poi, esiste ancora il mercato mainstream nell'epoca della coda lunga? Non saprei, ma questa è un'altra storia), e lo spazio per le intellettualate con false pretese da innovatori e poco contenuto sembra essere sempre più ridotto, per la gioia del sottoscritto.


All'anno prossimo, quindi, per il ventennale del mio festival preferito :)

2 commenti:

Chissenefrega ha detto...

per la gioia anche del sottoscritto (che è andato apposta per vedere le peggiori commercialate, a partire da Deadmau5) :P

Lorenzo ha detto...

Quest'anno il tuo report mi e' parso più equilibrato dello scorso, pur con gusti diversi, concordo su varie cose.