lunedì 5 marzo 2012

Floating points @ Classic, 3-3-2012

Nel report dal Sonar dell'anno scorso, a proposito di Floating points, scrivevo: "molto bravo, da risentire al più presto anche se con ogni probabilità per risentirlo mi toccherà prendere un altro aereo".

Ero già rassegnato all'idea di dover andare a sentire il buon Sam a casa sua, in UK, e invece i ragazzi di Classic evidentemente mi vogliono del bene e sabato scorso me l'hanno portato vicino casa, con del coraggio non indifferente.

Un set di Floating points in un sabato sera milanese, infatti, è un azzardo non da poco: per quanto la clientela di Classic non abbia ovviamente nulla a che spartire con il milanese medio in camicia cocaina e Danza Kuduro e sia comunque svariate spanne sopra anche al milanese indie medio in occhiali grandi maglietta ironica e James Blake, è comunque vero che la programmazione abituale di Classic ha addestrato il proprio pubblico alla cassa in quattro e a una certa danzabilità, sempre di alto livello ma comunque più "facile" rispetto all'estro e all'eclettismo di un set di Floating points.

Qual'è stato, quindi, l'esito di questo azzardo?

Andiamo con ordine: partiamo dall'opening set di Sandiego, che non sentivo da tanto e che ha dimostrato di essere sempre come me lo ricordavo, bravo almeno quanto il suo compare di vecchia data, Lele Sacchi: set d'apertura condotto alla perfezione, partito molto tranquillo (sono riuscito a sentirlo praticamente fin dall'inizio, a club semideserto) e giustamente cresciuto fino al climax classicone di "Most precious love" di Blaze e Barbara Tucker, con la cassa funkettosa marchio di fabbrica di Diego sapientemente declinata in modo da integrarsi col set dell'ospite di turno, come fanno i grandi resident.

Ma veniamo a punti flottanti, o virgole mobili che dir si voglia, che parte cercando di non rompere troppo il flusso della serata e inserendosi nel solco tracciato da Sandiego a colpi di un altro classicone che aveva suonato anche al Sonar, "The bounce" di Kenlou aka i MAW, che è uno di quei dischi che dove li metti li metti fanno sempre la loro porca figura, ma poi inizia il suo personalissimo viaggio lungo traiettorie che a quasi nessuno potrebbero venire in mente, ma che nel contesto del suo set hanno perfettamente senso.

Non è certo da tutti incastrare tra loro jazz, disco, funk, IDM, techno e cose latineggianti tuttassieme, e riuscire a farlo con un senso è cosa veramente per pochi, ma Sam ce la fa praticamente sempre, salvo giusto un paio di volte in cui prende la strada più ostica e taglia un po' le gambe alla platea già leggermente ridotta dal suo gusto per le pause lunghissime (pure troppo, a volte, al punto che è partito qualche fischio) e dal suo uso molto intenso dei filtri spettacolari del mixer valvolare montato al Tunnel per l'occasione, che in alcuni casi rompe un po' la continuità del ballamento.

La realtà, però, è che un set di Floating points non è assolutamente una cosa in cui il ballamento e la danzabilità proseguono ininterrotti per le due ore o poco più lungo cui si articola la questione, ma anzi è un'esperienza ricca di cambi di passo, interruzioni, svolte improvvise, salti, capriole, momenti di fomento e momenti di ascolto rilassato: è un set protagonista che richiede di essere ascoltato con molta attenzione per apprezzare la cura con cui Sam sceglie ogni disco anche quando sembra non avere alcuna attinenza con quello precedente, e che per questo magari sarà sembrato sconclusionato e indigesto a qualcuno, ma a me è piaciuto un sacco.




5 commenti:

Jimmy ha detto...

Mi sto sul cazzo da solo dicendo che non è stato un set per tutti..Ma è così. Il tipo medio che si ascolta un Locodice qualsiasi non può ascoltare sta roba...Tutto il contorno jazz del suo set è decisamente troppo per l'italiano medio..

Tra parentesi, auspico che il Tunnel ritorni a essere il locale un po' figlio di puttana nella door policy...
Non possono entrare gruppi di 10 persone tutte insieme, lista o meno...Vedo troppi ragazzini incafoniti dalla presenza in branco...Specie in fila...Segare è la soluzione migliore. Farlo presto prima che diventi un problema farlo pesantemente

Raibaz ha detto...

Dici parole di verità in entrambi i casi: in più di un momento è stato un set "troppo difficile" anche per me (figurarsi per l'itagliano medio), ma ho comunque molto apprezzato il coraggio di alcune scelte azzardate, sia da parte di FP nell'economia di un set comunque piacevole, che da parte di Classic, che comunque sapeva come suona FP e ha deciso di proporlo lo stesso pur sapendo che probabilmente sarebbe stato apprezzato tanto solo da una parte del pubblico.

Alla fine, sono anni che ci diciamo che la door policy in un mondo ideale la fai a monte, con la programmazione, e un set ostico come quello di sabato probabilmente ha allontanato qualcuno che si aspettava Locodice, senza bisogno di esser figli di puttana alla porta (cosa che comunque, nei limiti del possibile, se fatta per tener fuori gli animali e non del tutto a caso, è sempre benaccetta)

Jimmy ha detto...

Fortunatamente ci pensano altri staff a prendersi le mandrie, proponendo line up da mandrie...
Il problema (che esula dalle door policy) è l'educazione....
Non voglio una door policy sul dress code, sarebbe stupida. Vorrei che però sia impedita l'entrata a grossi gruppi. Come fanno ovunque in Europa..
Sono un menoso di merda, il problema è che sto invecchiando..

Audio Data Life Forms ha detto...

sto avvicinandomi alla musica elettronica, nel senso che ho intenzione di capirci qualcosa invece di andare alle serate solo per rimorchiare, e credo che questo blog mi sarà utilissimo. ciao da roma

Raibaz ha detto...

@Jimmy, come ben sai il problema della door policy è che non c'è un modo "giusto" di farla: se decidi di tener fuori i grossi gruppi e per caso a un certo punto ci presentiamo all'entrata tutti assieme io te Silvia Paola Zagor la Ju Andre la Lolla Fede KK e altri venti figuri del genere, cosa succede, dobbiamo star fuori? :)

@ameanstoanend benvenuto :)