venerdì 13 luglio 2012

Christian Zingales - Techno

La techno, come la conosciamo noi che l'abbiamo vista nascere o quasi, è morta.

Gli indizi non mancano, e le motivazioni sociali e di contesto che hanno piantato i chiodi nella bara sono molteplici, e forse il più grosso merito di questo libro è proprio aver stimolato queste riflessioni.

Non è di certo un libro valido per raccontare la techno a chi non la conosca: in primo luogo perchè l'approccio enciclopedico (l'unico effettivamente praticabile, questo glielo concedo) consente di approfondire molto ma manca di una visione d'insieme, ma anche perchè il linguaggio usato presuppone un po' di conoscenza nel lettore e, soprattutto, perchè descrivere cosa sia la techno in maniera univoca è impossibile. 


Zingales, non si può negarlo, è molto bravo: scrive molto bene (a patto, ripeto, di avere il background adeguato per apprezzarlo) e in ogni riga si percepiscono nettamente la sua conoscenza vastissima e la sua passione sconfinata per un certo tipo di techno, passione che però è anche il grande limite del libro. 

Se da un lato infatti l'assoluta coerenza con cui vengono giudicati gli artisti è lodevole e denota una grandissima bravura e lucidità di pensiero, è inevitabile però che chi abbia sufficiente background da apprezzare il libro e gusti non perfettamente allineati con quelli di Zingales provi durante la lettura sentimenti che vanno dall'"uhm" al "ma che cazzo sta dicendo questo?".

Nonostante alcuni giudizi siano opinabili (per usare un eufemismo: il modo in cui viene liquidata la scena napoletana in poche righe dopo aver speso paginate per ogni cristiano che abbia mai messo due dischi a Roma negli anni '90 è quantomeno sacrilego) e alcuni un po' forzati (una delle grandi regole non scritte di chi parla di techno è "la Warp, la Rephlex e Aphex twin sono intoccabili nonostante facciano cacare a spruzzo spesso e volentieri"), il racconto di un genere che non c'è più, perchè legato a un periodo che non c'è più, è estremamente piacevole e, salvo alcune delle succitate paginate dedicate ad artisti evitabili, scorre via molto bene: rimane l'amaro in bocca quando realizzi che questo è solo un modo di intendere lo sconfinato e frastagliato universo della techno e, soprattutto, quando realizzi quanto Zingales sia rimasto ancorato a una quindicina d'anni fa.

Il problema vero è che però non è lui a esser retromaniaco, ma piuttosto che volendo raccontare la techno di cui parla lui, quella del trio di Belleville e degli UR, di Robert Armani e Joey Beltram si finisce per forza di cose a rimpiangere il passato, consci di quanto una musica nata con la tensione al futuro come principale ispirazione sia stata uccisa dal nostro tempo.

Lo accenna Simon Reynolds proprio in 'Retromania', ma è un'idea legata non solo alla musica (Coupland è uno di quelli che la raccontano meglio di tutti) quella secondo cui la tecnologia di questo periodo storico, con la rete a costituire un archivio infinito e immediatamente accessibile di tutto lo scibile umano, ci abbia condannati a vivere perennemente fuori dalla concezione lineare del tempo, con passato, presente e futuro che cessano di esistere come li conosciamo e diventano una cosa sola: in un contesto come questo, una musica che fa dell'essere rivoluzionaria e della rottura col 'prima' la propria cifra stilistica non ha più ragione di esistere, proprio perchè è un concetto come 'prima' a non esistere più.

Non saprei nemmeno dire con precisione se l'aver cristallizzato in un libro un magma (teoricamente) in perenne mutazione sia un effetto della stagnanza che affligge il genere da un buon numero di anni o un modo per dichiararne ufficialmente il decesso, sta di fatto che la sensazione che emerge, nettissima, dalla lettura è un grosso rimpianto per i bei tempi andati: praticamente tutto quello che è uscito in questo millennio viene criticato più o meno aspramente, e quando si intravede un barlume di speranza è evidente che Zingales non ha (più) gli strumenti necessari per giudicare la musica di oggi, ancorato com'è a un'idea di futuro ormai passata (elogi Matthew Dear e poi come punto più alto della sua produzione citi una maranzata commercialotta come 'Mouth to mouth'? Sul serio? Bella battuta.)

In sostanza, pur avendo - se non si fosse capito - più di una divergenza con le idee e coi gusti di Zingales, consiglierei questo libro? Assolutamente sì, a patto che abbiate già dei rudimenti sul tema senza i quali credo sembrerebbe tutto troppo astratto, cervellotico e da nerd musicali: se i vostri gusti sono affini a quelli di Zingales (e non è difficile, visto che alcuni giudizi sono al limite del nazionalpopolare almeno per chi segue il genere) questa sarà la vostra Bibbia, ma anche se non dovessero esserlo un punto di vista diverso così ben esposto e una lettura così avvincente sono comunque manna dal cielo.

Tornando all'affermazione dell'inizio, la techno è morta?

Come la intende Zingales sicuramente sì: quei suoni e una parte di quell'attitudine, oggi, non hanno più senso se non in qualche revival di tempi passati che suona sempre più come quelle serate in cui suonano "com'è bello far l'amore da Trieste in giu", perchè, molto banalmente, sono cambiati i tempi e il futuro, si sa, invecchia male.

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