mercoledì 26 agosto 2009

Una serata di cultura musicale

Metti una sera di fine estate in cui i palinsesti televisivi offrono persino meno del solito, alla fine di una giornata lavorativa particolarmente stressante non solo per la sindrome da rientro.

Il doveroso bagno appena tornati a casa è l'occasione perfetta per finire il libro che stavo (ri)leggendo, "Last night a dj saved my life" di Bill Brewster e Frank Broughton:


L'avevo già letto in italiano un paio d'anni fa, ma quando sono stato a Londra in primavera ho trovato l'edizione aggiornata per il centenario della figura del DJ e non ho saputo resistere :)

E' lunghissimo, in alcune parti è anche un po' pesante, ha il grave difetto che la seconda metà è completamente UK-centrica e trascura del tutto il resto del mondo come se dalla second summer of love in poi il centro dell'universo musicale fosse stato il regno unito e il resto del mondo fosse rimasto a guardare abbeverandosi alla fonte del sapere d'oltremanica, ma è comunque il libro di storia della figura del DJ più completo che mi sia capitato di leggere.

Non è romanzato nè divertente come "Superstar djs, here we go!", non è scritto col cuore come il libro di Coccoluto, è "solo" la storia del DJ dai primi esperimenti di diffusione di musica preregistrata anzichè suonata live a oggi, raccontata nel modo più esaustivo e dettagliato possibile, e questo già di per sè lo rende una lettura praticamente obbligata per chi abbia voglia di coltivare la passione del DJing in maniera un po' "clued-up", ma è l'ultimo paragrafo a renderlo un capolavoro.

Già nell'edizione vecchia, la parte finale che descrive il DJ come sciamano spiegando come un bravo DJ non si limiti a suonare i dischi ma, di fatto, suoni la pista che ha davanti e descrivendo le sensazioni che si provano quando la pista reagisce era splendida, e ora nell'edizione nuova il paragrafo inizia con una speranza di rinascita artistica dalla commercializzazione & massificazione di questi tempi bui, sostenendo che l'underground è sempre vivo anche quando non si manifesta (e rimane, appunto, underground) e che quindi probabilmente in qualche scantinato buio in qualche luogo sperduto del mondo è già viva la nuova avanguardia che rivoluzionerà ancora il mondo della musica, come ha fatto l'hip-hop, l'house, la techno, il reggae e tutti i generi a cui Brewster e Broughton hanno dedicato un capitolo.

Non contento, dopo cena e dopo aver scrollato via la sensazione di deserto causata dalla visione dell'offerta televisiva di prima serata ho finalmente visto il dvd campione assoluto di permanenza sullo scaffale senza esser guardato:



Stava sullo scaffale dei dvd da quasi un anno e non avevo mai avuto il coraggio di vederlo, terrorizzato dai commenti che lo descrivevano come un macigno di rara pesantezza: col senno di poi, non posso dar torto ai commenti, ma devo anche aggiungere che il film è un capolavoro.

*Non* è assolutamente quello che ci si potrebbe aspettare leggendo "Daft punk's" sopra il titolo, anzi l'atmosfera del film sembra quasi volutamente l'opposto di quello a cui Thomas e G-man ci hanno abituati: a fare da contraltare ai suoni sottocampionati e caciaroni delle loro produzioni musicali qui c'è tanto, ma proprio tanto silenzio, saltuariamente interrotto da poche pennellate di musica intimista al massimo e agli antipodi rispetto al french touch (Chopin, Haydn).

C'è così tanto silenzio che non c'è neanche una parola, anzi quasi non c'è comunicazione tra i personaggi, robot coi caschi inespressivi che usano i due francesi nelle loro apparizioni live: non si parlano, in tutto il film comunicano a gesti al massimo un paio di volte, eppure le azioni sono sempre eloquentissime e nonostante Bangalter stesso abbia affermato che il film è volutamente criptico e aperto a interpretazioni io non ho fatto fatica a trovare la mia, tristissima e malinconica e che non condividerò qui per non influenzare chi dovesse vederlo dopo esser passato su queste pagine :)

Ad ogni modo, secondo me è un film che va visto, non tanto per capire meglio i Daft Punk, visto che è piuttosto slegato dal resto della loro produzione, ma semplicemente perchè è bello, come atmosfera ma soprattutto visivamente: ci sono immagini, protratte per lunghissimi secondi (o forse minuti?) per via dei tempi dilatatissimi, semplicemente splendide, con influenze evidenti che vanno da Dalì a 2001 odissea nello spazio e che, nel silenzio assoluto, sfogano ancora meglio il proprio potere visuale.

4 commenti:

vicodin ha detto...

condivido in pieno su electroma.

non so se hai notato poi che il titolo non è messo a caso

electr-oma (come una vera e propria malattia per i due robot)

complimenti per il blog cmq, davvero interessanti i post

Raibaz ha detto...

Non avevo fatto caso a questa interpretazione, l'avevo preso come un riferimento alla Troma, la casa di produzione regina dei b-movies...evidentemente gli è riuscita proprio bene l'idea di lasciare libertà di interpretazione agli spettatori :)

(grazie dei complimenti!)

REV909 ha detto...

si Electroma è un cortometraggio
che alla prima visione lascia sicuramente un po l'amaro in bocca,
poichè ci si aspetta a tutt'altro


per apprezzarlo al meglio va appunto visto piu volte...
lascia passare qualche mese e riguardatelo, scommetto che lo apprezzerai ancora di più, poichè sai gia a cosa vai incontro ma scopri un sacco di dettagli nascosti che prima ti eri perso...

hai anche tu la versione con dentro il libricino con foto del
film bellissime?

A Londra vidi anche il libro
cone le foto in formato maxi, tipo album.

Smeerch ha detto...

Post interessante. Mi ha incuriosito.