mercoledì 4 marzo 2009

2000 and one - Heritage - Recensione

Uno tra i tanti effetti del fenomeno "let's all be cool and move to Berlin" è la pesante riduzione del numero di scene locali: ok, magari rimangono gruppi con una coerenza etnica tipo la scena degli argentini (Dilo, Gurtz, Funzion, Violett e per estensione Dario Zenker che è per il collegamento Germania-Argentina quello che Davide Squillace era per il collegamento scena napoletana-scena spagnola), ma sono quasi tutti trapiantati in terra teutonica, al di fuori della propria zona natìa.

Una delle poche scene locali di vecchia data che continua a proliferare sfornando nuovi talenti e mantenendo intatta la propria identità geografica, però, è quella olandese: a fare da collante tra i "nuovi" - si fa per dire, hanno comunque anni di carriera da dj alle spalle - come Bart Skils, Anton Pieete, Boris Werner, Shinedoe, David Labeij, Lauhaus e Kabale und Liebe ci sono un negozio di dischi, Outland records di Amsterdam, gestito da Jerome, un po' di party tipo quelli Voltt presieduti proprio da Bart Skils e, soprattutto, arzilli vecchietti - ancora, si fa per dire, credo non arrivino ai 40 - come Dave Ellesmere e Dylan Hermelijn aka 2000 and one, che da più di 10 anni spaziano tra tutti i possibili diversi gusti del megacalderone techno, da Detroit a Chicago passando per le minimalate, l'house e la schranz.

2000 and one, per farla breve, è uno di quei produttori coi controcoglioni che si contano sulle dita di una mano in grado di fare praticamente qualunque cosa mantenendo standard qualitativi altissimi: solo per citare le cose recenti, ha spaziato dalla neo-detroit (Tropical melons) al tormentone minimale (quella cagata di Pecan) passando per etichette di prestigio come Drumcode, Moon harbour e Bpitch control oltre a gestire e fare i mastering per la sua 100% pure e le sue sublabel Remote Area e Area remote...quando si dice, "mica pizza e fichi".

Adesso, Dylan ha deciso che era ora di stampare il primo album, proprio sulla sua 100% pure, e secondo la press release è un album che esplora le origini africane dell'artista, un viaggio attraverso le sfumature dell'oldschool house e tutta una serie di buzzwords come ogni press release che si rispetti...come ogni press release che si rispetti, però, è anche assolutamente falsa.

La realtà è che questo non è un album propriamente detto, con una serie di tracce intese per l'ascolto in sequenza e in cui il produttore si cimenta su una lunghezza superiore a quella della singola traccia o dell'EP, questi sono 8 tool da pista uno meglio dell'altro senza praticamente nessun altro legame tra loro: non è prevista alcuna sequenza in cui ascoltare le tracce e, a dirla tutta, non credo neanche che sia previsto l'ascolto per intero delle singole tracce, l'uso "corretto" di quest'album è all'interno di un set.

Solo considerando il pacco da questo punto di vista, infatti, si può coglierne l'essenza: non ci sono tracce protagoniste, nessun potenziale singolo che balzi in cima alle chart e diventi un tormentone, non c'è neanche una traccia che si possa usare come protagonista in un set, uno di quei dischi cardine attorno a cui pianificare il resto della tracklist: tutte e 8 sono, come già detto, dei tool.

Sentite come tracce "normali" potrebbero sembrare anonime e ripetitive, ma è qui che sta il loro punto di forza: proprio in quanto tool, costituiscono solo una base di partenza, su cui il bravo dj costruirà poi quello che preferisce aggiungendo o togliendo, ma "da sole" non hanno nessuna utilità, se non al massimo quella di essere dei bei loop da 8 minuti.

Per questo, poi, è impossibile indicare LA traccia, quella che di solito in un album vale l'acquisto ed è l'unica suonabile (almeno, nei rari album belli: tipicamente gli album raccolgono gli scarti di produzione che nessuno voleva stampare come singolo): gli otto tool si equivalgono, almeno in partenza, ed è solo grazie all'apporto del bravo dj che diventeranno delle bombe a mano o delle cagate pazzesche.

Dal punto di vista del marketing, però, la natura dell'album pone un bel problema: il supporto ideale su cui comprarlo sarebbe il quadruplo vinile, con cui si potrebbe tranquillamente fare un 40 minuti di set senza usare nient'altro, ma vale davvero la pena di spendere 27 euro per otto tool?
Come per tutti gli album, la scelta economicamente più conveniente è il cd, ma è una scelta che limita all'uso di un solo tool per volta, a meno di non comprarne due, ma a quel punto costa meno il quadruplo vinile, o di farsi una copia di backup, consentita dalla legge; io penso che opterò per quest'ultima scelta, visto che le tracce valgono l'acquisto senza ombra di dubbio.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

w beatport!!! :)

Anonimo ha detto...

ma anche no...:P

cmq bella rece as usual quindi la pubblico anche di là ;)