mercoledì 6 gennaio 2010

Carlo Antonelli & Fabio De Luca - Discoinferno

Devo ancora dire qualcosa su FdL che non abbia già detto o possiamo ormai darlo per scontato? E' praticamente il decano degli scrivani ("giornalisti" mi sembrava un termine eccessivo, visto che nella categoria includo anche gente come me, Max e Fede) di musica elettronica italiani e, fatte le debite proporzioni tra scene, non ha niente da invidiare a gente molto più famosa come Dom Phillips o Simon Reynolds per lucidità di analisi e bellezza della scrittura, al punto che gli si perdona anche di essere il vicedirettore di una porcata come Rolling Stone.

A sto giro in realtà compare solo in veste di coautore, perchè l'headliner del libro è un altro, ed è....il direttore editoriale di Rolling Stone Italia, Carlo Antonelli.

E sì, lo ammetto: sto recensendo un libro delle due menti che governano la bibbia dei pischelli "volevo-fare-l'indie-snob-ma-non-ho-abbastanza-neuroni-e-in-fondo-mi-piace-Lady-Gaga-e-pure-Ligabue", e il fatto è che è un gran libro, ma di quelli veramente coi controcoglioni.



L'idea di base (lo dice pure il sottotitolo) è "raccontiamo la storia del ballo come fenomeno sociale in Italia", ma in realtà fa anche il contrario, raccontando la storia dell'Italia attraverso i suoi fenomeni sociali legati alla musica da ballo, trasmettendo perfettamente che quest'ultima, in quanto movimento culturale dominante degli ultimi anni, ha un rapporto di influenza bidirezionale con la società, non ne è solo uno specchio passivo.

In sostanza il libro è diviso in tre parti: la prima è legata alla "preistoria", al liscio e alle balere che uno direbbe "vabbè chissenefrega quando arriva la cassa?" e invece è indispensabile per farti capire che il motivo per cui la musica dèns in itaglia è sempre stata vissuta in maniera diversa rispetto al resto del mondo ha radici storiche profonde, da ricercare proprio in quei primordiali momenti di aggregazione dei ggiòvani, ma è nella seconda, che racconta il passato recente dall'italodisco in qua e soprattutto nella terza, che parla del presente, che lo scollamento dalla realtà vissuta sulla propria pelle si annulla e dici "cazzo, è proprio così".

E' attraverso interviste con gente il cui legame col clubbing italico del passato è evidente, tipo Cecchetto, Amanda Lear o Spagna, ma anche e soprattutto quelle con persone insospettabili tipo Carlo Freccero o Boncompagni, che ci si rende conto che in qualche modo il lato danzabile della musica ha sempre avuto una componente importante, a volte in maniera più diretta e altre in modo più sottile, sul sentire generale della massa, per cui il passaggio dalla balera come fenomeno solo locale ai superclub della riviera romagnola, tanto per dirne uno, non è stato solo un cambiamento di luogo ma anche di modo di intendere la serata, lo svago, e in generale, la vita, con la spinta verso il massmarket e la globalizzazione sempre più pressanti e impossibili da schivare.

Quando poi il racconto arriva al passato ancora più recente, quello legato alla mia adolescenza di "Deejay time" e "Non è la rai" e la sua invenzione del tormentone con "Please don't go" ripetuta a oltranza, finalmente ho modo di realizzare che ciò che dicono Antonelli e FdL è scritto con cognizione di causa, visto che a sto giro è roba che ho visto coi miei occhi; poi leggo il capitolo sulle prime "stragi del sabato sera" e il falò mediatico e istituzionale circostante, che ancora fuma ma non è spento del tutto, fatto di leggi senza senso volte a dare agli anzyani l'illusione di controllo, e parla di una società che in fondo è la mia, e allora capisco che anche se sono le teste pensanti dietro Rolling Stone i due ragazzi qui hanno capito perfettamente com'è l'Itaglia in cui siamo (e in effetti vien l'idea che un giornale per dodicenni come RS spacciato come bibbia rock'n'roll per fintointellettuali non sia altro che una sonora presa per il culo).

Parlando di posti che ho visto, persone che conosco non solo di nome e situazioni a me note, si arriva al tristo presente, in cui "il dj-chiavetta è solo l'ultimo dei larghi passi che hanno allontanato questa figura dalla sua iniziale natura agonistica (quella, cavallerizza, del "fantino dei dischi") per avvicinarla a quella di puro fornitore di ritmo agreeable per l'ambiente. Perfetto per la cultura dell'Evento che, dalla metà degli anni novanta, prende il posto del clubbing e lo vampirizza costituendo un veicolo perfetto per aziende e marchi desiderose di comunicare sè stessi a un pubblico sempre più indifferente alle sollecitazioni, anche perchè instraccionito. Le serate branded costituiscono da tempo l'ossatura principale dei luoghi del divertimento nazionali. [...] Il djing si trasforma in catering puro, al servizio del cliente di turno" (cit.) e che alla fine del libro scopri che è una situazione a cui si è arrivati non di botto, non negli ultimi anni, ma che la "cultura dell'Evento" che ha praticamente rovinato tutto ha radici moooolto più anziane.

Morale, lettura consigliatissima a grandi e piccini, bravo Carlo Antonelli e (al solito) bravo FdL.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

OT

A marzo prodigy a aprile

misi ha detto...

ah, l'equivalente italiano di last night a dj saved my life di brewster e broughton. ottimo, un libro che mancava.

Raibaz ha detto...

Si direi che fatte le debite proporzioni tra le scene a livello di intenti e di portata il paragone con la bibbia di Brewster e Broughton (che infatti è citata da Antonelli e FdL come approfondimento per i più diligenti) ci sta tutto, anche se "Discoinferno" è meno storia omnicomprensiva e più rivolto verso l'impatto sociale, comunque come livello siamo lì.

@Anon: lo so dei Prodigy, ma sono molto combattuto perchè costa 40 euro (più che a Londra) ed è in un posto fuffissima come l'alcatraz...comunque chiunque non li abbia mai visti e sia a meno di 1000 km dovrebbe andarci di corsa :)