martedì 11 novembre 2008

Retrospettiva: Unkle - Never never land (2003)

C'è chi dice che i dischi veramente belli rimangono tali anche sentiti a distanza di anni, e in effetti i dischi invecchiati bene nella mia collezione sono una percentuale ristrettissima, per lo più di artisti "grossi", tipo i Daft Punk, gli Underworld o i Chemical Brothers, gente che non ha indovinato una traccia o un album per sbaglio ma dalla carriera lunga e onorata; di recente ho (ri)scoperto, per l'ennesima volta, un altro di questi album immortali, probabilmente non famoso come Homework, Beaucoup fish o Dig your own hole ma ugualmente bello:

 
Come tutti i grandi capolavori della musica (perchè è di fronte a uno di questi che ci troviamo), è difficile incasellarlo in un solo genere: non è solo trip hop, non è solo uk breaks, non è solo ambient, ma è sulla linea di confine tra questi tre generi e tanto altro.
Di fatto, come tutti gli album pensati bene, non è solo una collezione di tracce ma ha un filo logico perfettamente coerente dall'inizio alla fine, che rende la somma delle tracce infinitamente migliore delle singole parti che la compongono e fa si che l'intero album sia un lungo viaggio, un'unica esperienza organica che rende al meglio se ascoltata con la coscienza spenta.
Per capirci: il momento in cui per me Never never land ha fatto il salto da "bell'album" a "capolavoro supremo" è stato quando l'ho ascoltato in spiaggia, su una sdraio, in dormiveglia: in realtà faccio sempre una gran fatica ad addormentarmi ascoltando musica, perchè finisce che mi concentro su quello che sto sentendo e mi passa il sonno, ma Lavelle e tutti quelli che hanno partecipato all'album sono comunque riusciti, e ci riescono tuttora ogni volta che risento l'album, a portarmi in quello stato di semicoscienza in cui sei sveglio "ma anche no", e quando torni in te hai la sensazione di riemergere da un posto profondissimo, bello sveglio e riposato.
La vera magia di Never never land è che per tutta la durata dell'album non fa altro che sotterrarti sotto una montagna sonora astratta, cupissima e ripetitiva per poi, quando sei ormai rapito nelle profondità del dormiveglia, riportarti a uno stato più vicino alla coscienza con una traccia più aperta, o anche solo con un vocal appena appena sussurrato, come quello che a esattamente metà album, dopo le atmosfere liquidissime e ovattate di "I need something stronger", in un improvviso silenzio, dice "it's just a matter of how you look at it, that's all" per poi far echeggiare, nella partenza della luminosissima e melodica "What are you to me?", la domanda "do you dream?" e poi ancora, esaurito il raggio di luce con la chitarrina acustica, ti ributta addosso una cascata di oscurità con le percussioni dichiaratamente trip-hoppeggianti di Panick attack.

Capolavoro, non c'è nient'altro da aggiungere, la cui portata va ben oltre le tracce più famose e cheesy come "Reign" e soprattutto la hit che ha trainato l'album, quella "In a state" resa grandiosa anche dal remix di un Sasha in grandissimo spolvero, quando ancora non si era perso a suonare electro; se poi l'album da solo non bastasse, c'è la splendida Global Underground numero 26, mixata da Lavelle stesso, che contiene molte tracce dell'album, sia in versione originale che in remix un po' più danzabili oltre a una serie di altre chicche breaks di gente da quattro soldi tipo l'amico di Lavelle Dj Shadow, o Meat Katie, Lee Coombs ed Elite Force, oppure ancora, se proprio si vuole fare gli esosi e non ci si accontenta neanche della compilation su GU, c'è sempre il quadruplo (!) cd di remix che oltre a un buon numero di cagate contiene anche qualche traccia meritevole.

E' un vero peccato che l'ultimo album degli Unkle sia una merda allucinante che sa molto di "vanno di moda i Justice, infiliamo dentro a forza le chitarre in quello che abbiamo sempre fatto" con un risultato ovviamente deludente, ma è vero anche che gli stessi Daft Punk, Underworld e Chemical brothers dopo album capolavoro hanno sfornato merde come, rispettivamente, "Human after all", "Oblivion with bells" e "We are the night" :)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ti riferisci a end titles?
non sono ancora riuscito a sentirlo...mentre di war storiesm, che è praticamente un disco rock, ho l'edizione limitata...
su never never land cosa dire: ospiti come brian eno, jarvis cocker, mani & ian brown (metà stone roses in pratica), keith flinth...danno una bella botta di vita, ma credo che la manovra davvero azzeccata da parte dello Zio sia stato quello di sbarazzarsi di shadow in favore di richard file.
Ultima cosa never never land fu bollato dalla stampa italica dell'epoca come un disco mediocre...

Raibaz ha detto...

No end titles me l'ero perso, mi riferivo a war stories :)

Cmq a me non dispiacciono anche le cose che facevano come Unkle quando ancora c'era Shadow, come pure le cose di Shadow da solo...è che sono un filo troppo ambienteggianti, ma non sono malaccio...sulla stampa italica, ovviamente, non mi esprimo :)