venerdì 14 settembre 2012

Ricardo Villalobos - Dependent and happy

Sono passati cinque anni dall'emanazione di Ricardo più simile a un album, quel primo caso della serie di compilation del Fabric interamente composto di tracce sue che poi è diventato "Sei es drum"; in mezzo ci sono state un sacco di cose, tipo l'epopea di "Minimoonstar" o i remix con Max Loderbauer, ma mi sembra sensato confrontare quest'uscita nuova su quintuplo (!) vinile, su Perlon, con l'album precedente e, ancora, con i due prima, "The au harèm d'Archimede" e "Alcachofa" (uno dei miei album del decennio scorso).


Acusticamente parlando, quest'album suona analogico e, per certi versi, acustico, come non mai: sono anni che Ricardo la mena con la commistione tra strumenti "veri" (o "vecchi" che dir si voglia) e musica danzabile, e finalmente sembra aver trovato la quadra, tanto che la prima grossa differenza che si percepisce col Villalobos di una volta è proprio il sound molto più caldo ed evidentemente proveniente da legno, corde e altri oggetti fisici anzichè da pezzi di software.

Anche stilisticamente si sente forte il percorso del (non più) giovine Riccardino, che partito da "Dexter" è arrivato a "Serpentin" e poi a "Primer encuentro latino americano" e ora a tracce come "I'm counting", in cui la mistura di "sembra un loop ripetuto per tutto il tempo" e "succede di tutto, non c'è un attimo uguale a un altro" raggiunge, di nuovo, il suo equilibro perfetto e sono, di fatto, vere entrambe le cose: non è nè un loop nè una canzone propriamente detta, non segue alcuna struttura logica eppure da qualche parte, nel profondo del subconscio, si percepisce che non è del freeform fine a sè stesso ma Ricardo ha perfettamente in mente dove ci vuole portare con questa traccia, e ce ne rendiamo conto solo quando ormai è troppo tardi e siamo interamente in suo pugno.



E' qui che sta la grandezza di Villalobos, sia come dj che come produttore: è uno che a guardarlo sembra l'ultimo degli squagliati che mette dischi a caso senza neanche capire come si chiama, e i suoi dischi sembrano la solita, ennesima, minimalina piccheppacche con tre suoni in croce, eppure ha un magnetismo e una capacità di rapirti e di portarti in un universo parallelo che pochi altri al mondo hanno e che lo rende capace di fare set maratona senza mai essere noioso, tracce da più di mezz'ora che volano via senza che tu te ne accorga e album interi, come questo "Dependent and happy", che richiedono del tempo (merce rara in questo periodo in cui la musica da club sembra essere tornata alle canzonette pop da tre minuti emmezzo e soprattutto merce rara per chi come me ha una cartella "musica nuova da scremare" di decine di GB) e della volontà di cedere per un po' il controllo delle proprie orecchie e della propria mente, ma che rendono l'investimento con degli interessi altissimi.

Non è per tutti, non è per tutti i momenti, non riesco a spiegarmi l'utilità di comprarlo in vinile se non per la goduria della collezione perchè le tracce sono tutte insuonabili se non sei lui, ma se ti ci tuffi dentro interamente è un album dal quale esci rigenerato e ricolmo di meraviglia.

Chapeau, per l'ennesima volta.


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