martedì 14 febbraio 2012

Forteba - Stereoform

Forteba è un mio vecchio pallino risalente a un passato che sembra lontanissimo.

Non ricordo di quanti anni fa stiamo parlando, mi trovo a Parigi a fare il turista, e come per ogni viaggio turistico vado in cerca di souvenir, ovviamente in un negozio di dischi: cazzeggio per un po' in giro per gli scaffali, pesco quattro-cinque cose che mi paiono interessanti e mi metto a una postazione d'ascolto.

Il validissimo negoziante, figura ormai praticamente defunta, mi si appropinqua con altri sei-sette dischi e mi dice "guarda, se ti piacciono quelli magari ti piacciono anche questi" (almeno, così ho inteso dall'alto della mia conoscenza pressochè nulla del francofono), e tra le proposte dell'eccellente negoziante c'è proprio questo Forteba, prontamente portato a casa e immediatamente diventato uno degli highlights dei miei primi set con Beatbank:



Passano gli anni (sei, per la precisione, dall'uscita di quell'ep lì), del buon ungherese si perdono un po' le tracce e l'etichetta su cui usciva, la Plastic city, perde gran parte del proprio smalto e della propria identità, incerta tra il mantenimento dell'impronta deep house che l'ha sempre contraddistinta nonostante il genere non abbia più molto da dire e tentativi di innovazione non sempre riusciti.

Ma veniamo a oggi, alla pubblicazione del nuovo album del caro Krisztián Dobrocsi, sempre sull'etichetta dei vari Terry Lee Brown Jr., The Timewriter e simili.


"Stereoform", che di Forteba è addirittura il terzo album, rappresenta in pieno l'attuale anima della Plastic City, un po' ancorata alla deep house "classica" e un po' no: una buona parte delle tracce dell'album infatti mantiene le caratteristiche tipiche delle release dell'etichetta di Mannheim (la stessa Mannheim che ci ha regalato maranzate come il Time warp e la Cecille), tipo i pad viaggioni  stesi sull'intera durata della traccia dando quella sensazione di tranquillità anche quando il groove è bello movimentato o i chord "classici" della deep house, e la cosa non è che dispiaccia quando il livello è così alto, anzi, ma ci sono anche momenti in cui si esce bellamente dal seminato.

Senza tracce come "Fallin" o "It's easy" che esplorano andamenti sensibilmente più lenti, o "Levitatt" che invece vira decisamente verso la techno, o ancora "Looking for the one" che se la ambienteggia, saremmo di fronte "solo" a un album di deep house abbastanza canonica ma comunque coi controcazzi, così invece ci sono anche un po' di risvolti inaspettati e piuttosto interessanti.

Intendiamoci, se vi aspettate qualcosa di radicale e devastantemente innovativo state pure alla larga da quest'album, che a conti fatti non che proprio brilli per coraggio: qui c'è solo un po' di "more of the same" ma molto ben fatto, in grado di riempire di goduria le orecchie e i cuòri degli affezionati del genere.

Tremmezzo su cinque, via.



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